La lotta del PCV contro l’opportunismo


I

In oltre 80 anni di esistenza, il Partito Comunista del Venezuela (PCV), come molti altri partiti comunisti e operai del mondo, ha dovuto affrontare in più di un'occasione, sia l'opportunismo di destra, sia il suo fratello di sinistra. La nostra Prima Conferenza Nazionale nell’agosto 1937 era già segnata da questa lotta, che si manifestava in quel momento come il conflitto tra coloro che sostenevano la necessità di dotare il Partito di una propria struttura organica e "mostrare il volto" al paese come organizzazione proletaria con programma e azione autonomi e coloro che proponevano, senza successo, da una posizione opportunista di destra, di rinunciare alla formazione del Partito, sciogliendolo all’interno delle organizzazioni politiche liberal-borghesi e piccolo-borghesi dell’epoca [1].

Dal 1941 al 1945, i comunisti venezuelani subiscono una nuova deviazione opportunista di destra, che promuoveva la collaborazione di classe, che si rafforzò nel 1943 con l'adozione della dottrina liquidazionista, nota a livello internazionale come «browderismo». L'influenza e la diffusione di questa dottrina, con molte gravi ripercussioni in diversi paesi dell'America Latina, fu favorita in Venezuela dall’approccio verso il governo dell’epoca (presidenza di Isaia Medina), tenuto da diversi settori progressisti e rivoluzionari dal 1942 e dalla situazione di divisione allora esistente nelle file comuniste. Questo quadro venne risolto sostanzialmente con la celebrazione nel dicembre del 1946 del nostro Primo Congresso, denominato «dell’Unità», che riuscì a unificare la maggior parte dei gruppi comunisti dell’epoca sotto il nome che il nostro Partito ha da allora mantenuto, emettendo anche una severa condanna del «browderismo» e del collaborazionismo di classe [2].

L'opportunismo, nel suo senso più generale, può essere definito come qualsiasi alterazione della politica, del programma e delle concezioni teoriche dei partiti rivoluzionari o dei movimenti operai, emersa sotto l’influenza degli eventi e circostanze del momento, che li allontana obiettivamente dagli interessi storici e necessità strategiche proprie della classe operaia e li porta a collimare con gli interessi e le necessità di strati e classi non proletarie della società (in particolare la borghesia e la piccola borghesia). Come è stato sottolineato già da diversi autori, le diverse varietà di opportunismo differiscono fra loro, fondamentalmente, a seconda degli strati e settori della borghesia o piccola borghesia dai quali promanano e dietro ai quali vogliono trascinare il movimento operaio e rivoluzionario [3].

Nel caso venezuelano, questo è avvenuto con notevole regolarità e, posto che nel corso degli anni diversi settori piccolo-borghesi, intellettuali e professionisti, hanno avuto una presenza molto forte nel nostro Partito, non deve sorprendere che abbiamo sperimentato ripetuti episodi di opportunismo, sia di destra che di sinistra. L’episodio più grave e dannoso di opportunismo di sinistra, si è verificato nel corso degli anni ‘60 e comportò la scissione dal nostro Partito che diede origine al cosiddetto Movimento per il Socialismo (MAS), al quale dedicheremo alcuni paragrafi.

Anche l'opportunismo di destra ha fatto la sua apparizione nella nostra organizzazione e nella sua periferia, non solo, come abbiamo già visto, nella Conferenza del 1937 e negli anni ‘40, ma anche in altre occasioni, la più recente nel 2006-2007, quando abbiamo affrontato e sconfitto un nuovo focolaio di liquidazionismo che cercava ancora una volta, come in quella storica Conferenza, di sciogliere il Partito e farlo confluire in un’altra organizzazione di profilo interclassista e di orientamento piccolo-borghese, provocandoci un'emorragia relativamente piccola. Anche a questo recente episodio tuttavia dedicheremo particolare attenzione, non tanto per il suo peso quantitativo, quanto per la sua importanza per l’interpretazione e l'analisi dell’attualità politica nazionale.

Discuteremo inoltre, anche se brevemente, alcune altre manifestazioni di opportunismo che abbiamo combattuto e continuiamo a combattere in altre organizzazioni apparentemente «rivoluzionarie» o «progressiste», la cui denuncia e smascheramento sono necessari per evitare la confusione ideologica e il disorientamento politico della classe lavoratrice e del popolo in generale.

II

Gli anni ‘60 iniziarono per il nostro paese in un clima ricco di opportunità e minacce. Dopo il rovesciamento della dittatura militare, nel gennaio 1958, a seguito della riuscita e coraggiosa politica di alleanze del PCV che portò ad un’autentica insurrezione popolare, la situazione politica si andò guastando rapidamente. Le speranze, suscitate dal trionfo popolare sulla dittatura, furono tradite quasi subito dal cosiddetto «patto del Punto Fisso», con il quale i partiti di destra (il socialdemocratico AD e il democratico-cristiano COPEI con la complicità di URD come partner minore), concordarono l'esclusione dei comunisti e delle altre forze progressiste e popolari della composizione del nuovo governo, accordo che più tardi portò alla formazione di un sistema bipartitico per la salvaguardia degli interessi dell'imperialismo e della borghesia locale, ad esso associata.

Tra il 1962 e il 1967, il PCV sviluppò la tattica della lotta armata come risposta ai governi antipatriottici e antipopolari, nati da quel patto. Senza qui discutere gli errori commessi dal Partito nella serie di decisioni politiche che condussero alla lotta armata, né quelli commessi in quegli anni di guerra sia nella direzione militare delle azioni, sia, soprattutto, nella sua direzione politica, nel 1965 era già assolutamente evidente che nel paese non c'erano le condizioni per lo sviluppo positivo di una tale tattica e di ciò era cosciente gran parte del nostro Comitato Centrale. Si discussero allora le possibilità per un disimpegno militare ordinato e il reinserimento del nostro Partito nella vita politica nazionale [4].

Ma questo dibattito venne ostacolato dalla crescita nelle nostre file di un focolaio frazionista che perseguiva l’autonomia dell’apparato militare e la supremazia di quest'ultimo sulla direzione politica collettiva. Le ambizioni personali di comando di alcuni dei comandanti militari (soprattutto Douglas Bravo), alimentate dalle posizioni avventuriste di sinistra di coloro che insistevano sulla possibilità di una vittoria militare (Teodoro Petkoff, Freddy Muñoz), crearono una situazione molto complessa nel nostro Partito, che ritardò di più di due anni la decisione finale del ritiro militare.

Da posizioni piccolo-borghesi di sinistra, tipiche di una intellighenzia radicalizzata, gli opportunisti dell’epoca promossero nelle nostre file il culto dell'esperienza guerrigliera cubana come esempio da seguire, ma in modo astratto, senza tener conto delle condizioni concrete esistenti in Venezuela e, cosa più grave, senza connessione organica con l’ampio popolo e, in particolare, con la classe lavoratrice. E' sintomatico che, in contemporanea con la deviazione militarista, si sviluppò anche un processo di abbandono quasi completo del lavoro di partito sul fronte sindacale e di disprezzo per il lavoro dell'organizzazione contadina in tutto ciò che non aveva direttamente a che fare con l'attività militare:

… la Direzione del Partito adottò un disprezzo per il lavoro sindacale e si giunse nella pratica alla conclusione, che non valeva la pena di dedicare risorse materiali e umane alle organizzazioni sindacali né, in generale, a nessun lavoro di massa non armato. Durante gli anni '60 i dirigenti sindacali del PCV erano considerati come elementi inutili per la vittoria rivoluzionaria che si sperava di conquistare esclusivamente per via della lotta armata. [5]

Il peggio della deviazione militarista fu raggiunto con l'espulsione di Bravo e altri, che poi fondarono il cosiddetto Partito Rivoluzionario Venezuelano (PRV), ora scomparso. Tuttavia, altri elementi continuarono ad alimentare nelle nostre file l’avventurismo di sinistra, attaccando l'unità della nostra organizzazione. La continuazione di questo stato di cose ha creato le condizioni, il "terreno fertile", per lo sviluppo del nuovo frazionismo che emergerà alla fine del decennio.

La decisione del ritiro militare venne presa infine dall’8° Plenum del nostro Comitato Centrale d’Emergenza nell'aprile del 1967, che fissò gli orientamenti generali del PCV sulla lotta armata, confermate altre volte dopo di allora, inserite dal 1980 nel Programma del Partito e vigenti fino ad oggi. Rivendichiamo e onoriamo l’eroico sacrificio delle centinaia di militanti che hanno dato la loro vita in quegli anni e delle altre migliaia che hanno sofferto prigioni, torture e persecuzioni, e riconosciamo la legittimità dell'uso della tattica armata da parte dei popoli, quando le condizioni lo richiedono, ma ci adopereremo sempre per promuovere lo sviluppo dei nostri obiettivi strategici nei modi meno traumatici possibili, ottenendo il sostegno popolare più ampio:

Il PCV si impegnerà affinché le trasformazioni anti-imperialiste, antimonopoliste, antioligarchiche, democratiche e popolari e la transizione del Venezuela al socialismo, avvenga con la minor quantità di sacrifici. Per questo faremo leva sull'organizzazione dei lavoratori, raccogliendo tutte le forze possibili per far sì che si esprima la volontà del nostro popolo, riducendo all'impotenza il nemico e eludendo le provocazioni, ma non esiteremo a utilizzare le forme più elevate di lotta nel perseguimento della vittoria per i lavoratori e il popolo, per difendere le conquiste sociali e politiche, se le classi dominanti utilizzeranno la frode o la violenza controrivoluzionaria e fascista nei loro egoistici interessi di violare la volontà del popolo [6].

Nel corso del 1969, quando cominciava il processo di preparazione e dibattiti per il 4° Congresso Nazionale del Partito, coloro che avevano animato con maggiore forza le posizioni opportuniste negli anni precedenti finalmente resero pubblica la loro rottura con il PCV. I «dissidenti», invece di esporre e difendere le loro opinioni nei corrispondenti organismi durante il processo di dibattiti che era appena iniziato, lanciarono una campagna pubblica di attacchi contro il Partito, contro l'Unione Sovietica e gli altri paesi socialisti, contro il leninismo [7].

Al momento dell'apertura del 4° Congresso Nazionale, nel gennaio del 1971, Pompeo Márquez, Petkoff, Eloy Torres, Alfredo Muñoz e Maneiro, tra gli altri,  avevano lasciato le nostre fila già da diverse settimane e avevano avviato l’organizzazione di un nuovo Partito, il MAS, che si presentò inizialmente come difensore delle genuine posizioni comuniste, fino a reclamare per sé il nome di «Forza Comunista Venezuelana». A causa del prestigio che questi leader avevano raggiunto, specialmente tra i nostri militanti più giovani e meno esperti, il danno che questa diserzione ci causò fu molto grande, in particolare nelle file della Gioventù Comunista del Venezuela (JCV), che si ridussero significativamente e tra i settori intellettuali e professionali [8].

Lo stesso 4° Congresso Nazionale del PCV e il Comitato Centrale che fu eletto in quell’occasione, avviarono immediatamente una controffensiva che cercò di esporre il vero carattere della nuova organizzazione, condannata inesorabilmente alla deriva e ad un crescente allontanamento dalle loro presunte posizioni di sinistra a causa delle proprie vacillazioni ideologiche, della composizione, della struttura e dinamica interna:

Non c'è nulla di nuovo né di originale in tutte le formulazioni fatte [dai dissidenti]. Tutta questa predica, questa presunta "maniera nuova di essere socialista" non è altro che una cortina fumogena per ciò che è realmente una sbandata a destra. La loro pratica dal 1970 a questa parte indica che questa è la strada che hanno preso. E da lì si va verso un dirupo fatale [9].

Il successivo sviluppo degli eventi ha dato ragione al nostro Partito: nel corso degli anni, i presunti «nuovi comunisti» hanno condannato prima il «socialismo reale», rinunciando quasi immediatamente al leninismo (e al soprannome di «Forza Comunista»), che essi qualificavano come «marxismo ortodosso», poi a tutto il marxismo e, infine, a qualsiasi forma di vero socialismo. Oggi dell’antico MAS esiste appena il nome, con unaa prassi politica concreta sempre più incongruente che è giunta, negli ultimi anni, anche ad allearsi con la destra fascista, nel suo sforzo per far deragliare il processo di liberazione nazionale in corso nel nostro paese dal 1999.

Durante il resto degli anni ‘70 e nella prima metà degli anni ‘80, il nostro Partito ha dovuto affrontare diversi altri focolai di opportunismo, anche se nessuno così grave e dannoso, come quelli già citati. Tra il 1971 e il 1974, i resti dei gruppi frazionisti che erano rimasti nelle nostre file ed altri elementi praticamente analoghi, si scontrarono con un ambiente interno di maggiore disciplina, organicamente rinforzato e un Partito francamente deciso a cambiare e riproletarizzarsi, come stabilito dal 4° Congresso:

…l'ultima crisi mette in evidenza la necessità di proletarizzare sempre di più la nostra Direzione, quindi è essenziale elevare a dirigenti del PCV un numero maggiore di operai e contadini [...] come migliore garanzia che questo Partito rimarrà vigile per respingere il contrabbando ideologico e organizzativo di coloro che, provenienti da altre classi sociali, spesso giungono alla direzione del PCV non per aiutare la classe operaia, ma per distorcere il corso della sua marcia... [10]

Di fronte a queste condizioni interne che ostacolavano la possibilità di perturbare di nuovo la vita dell'organizzazione, gli sbandati si allontanarono individualmente o in piccoli gruppi, con conseguenze relativamente lievi. Altri gruppi più piccoli abbandonarono il nostro Partito e la Gioventù a metà degli anni ‘80 (poco prima e immediatamente dopo il nostro 7 ° Congresso Nazionale del 1985), con conseguenze tuttavia meno rilevanti.

III

Sono state cause prevalentemente esterne al nostro Partito e al nostro paese quelle che provocarono l'indebolimento e il lungo declino del PCV dal 1988 fino al 1998. Sono stati gli anni della crisi e il conseguente crollo del campo socialista in Europa Centrale e in Eurasia, in particolare dell'Unione Sovietica, il riferimento principale per il nostro Partito fin dal momento della sua fondazione nel 1931.

Tuttavia, il PCV ha mantenuto la sua attività e issato le bandiere del marxismo-leninismo, anche nei momenti più bui di questa crisi, quando vi è stata una grande pressione da parte delle forze opportuniste, nazionali e internazionali, per trasformare il nostro Partito in una organizzazione «post-comunista», nello stile di quelle che effettivamente sono apparse in quegli anni in altri paesi. Sebbene sempre più ridotti e con le spalle al muro, abbiamo lanciato con grande coraggio e convinzione, nel nostro 9° Congresso Nazionale del 1992, lo slogan «Il socialismo rimane la speranza dei popoli!», in un momento in cui i teorici del capitalismo mondiale celebravano la «fine della storia» e il presunto trionfo finale del sistema di sfruttamento.

Da questo declino ci ha portato fuori il fallimento del sistema bipartitico e del modello economico neoliberista nel nostro paese. Lo sviluppo della storia nazionale aveva dimostrato che tutti i nostri avvertimenti contro il neoliberismo e la nostra ferrea opposizione al bipartitismo nel corso di quattro decenni erano state corrette. Inizia così nel 1999 il processo di liberazione nazionale guidato da Hugo Chávez di pari passo alla graduale ripresa del nostro Partito. In quel momento, tuttavia, iniziò anche un nuovo ciclo della nostra lotta contro le deviazioni di sinistra e di destra, sia dentro che fuori le nostre file.

Il PCV è stato, per decisione della nostra 10a Conferenza Nazionale del 1998, il primo Partito che ufficialmente ha sostenuto la candidatura presidenziale di Chávez ed è oggi l'unico membro dell’alleanza originale (della quale facevano parte il MAS e altre individualità e organizzazioni di ex comunisti usciti dal nostro Partito durante gli episodi che abbiamo appena descritto) che continua a sostenerlo. Ma questo sostegno non è stato né acritico, né meccanico: dall'inizio del governo del Presidente Chávez, il nostro Partito ha esposto, con prudenza e cordialità, ma con fermezza, le deviazioni politiche e ideologiche dello stesso Presidente e di chi gli stava intorno.

Inizialmente propulsore di un nazionalismo generico e poco preciso, il Presidente ha oscillato nel corso degli anni tra una presunta «terza via», un equivoco bolivarismo, alcuni elementi di social-cristianesimo, di socialdemocrazia di sinistra e diverse altre varietà di riformismo, fino a quando, nel 2005 (e da allora per sempre), giunse a condividere con il nostro Partito il fatto che il socialismo sia l'unica via per il futuro dell'umanità. Tuttavia, continuano fino ad oggi le confusioni concettuali e politiche che ostacolano il progresso efficace su questa via.

In questo senso, il 14° Congresso Nazionale del PCV, nell'agosto del 2011, ha confermato la diagnosi che aveva già fatto il nostro Comitato Centrale in diverse occasioni, almeno dal 2007, circa la natura e il contenuto del processo guidato dal Presidente Chávez:

… tra gli attori e figure governative che sembrano interessati ad avanzare verso il socialismo, predomina una miscela eterogenea di concezioni idealiste e piccolo-borghesi circa la società e le vie per avanzare verso la sua costruzione. Non essendoci, ai livelli alti di direzione politica, una concezione scientifica del socialismo, coerentemente e solidamente fondata sui principi del materialismo storico, il processo di cambiamento manca di chiarezza nelle definizioni fondamentali per avanzare nella direzione corretta [11].

In quella stessa occasione, il nostro Partito identificò anche la causa storica concreta di tali deviazioni:

…da un lato, il soggetto sociale che fino ad ora ha diretto il processo, corrisponde ad un profilo classista di settori medi e della piccola borghesia, non della classe operaia, che è il vero soggetto sociale storicamente chiamato a costruire il socialismo; dall’altro lato, la stessa classe operaia e il popolo lavoratore della città e della campagna in generale, non hanno ancora raggiunto, nel nostro paese, il necessario livello di coscienza, organizzazione, chiarezza programmatica e mobilitazione che  permetterebbe loro d'imporre la propria egemonia di classe e forzare il corso degli eventi nella direzione corretta [12].

IV

Il confronto ideologico, cordiale ma fermo, che abbiamo mantenuto nel corso di questi anni con il presidente Chávez e il suo entourage, raggiunse l'apice nel 2006-2007, quando lo stesso Presidente, unilateralmente e senza consultare, diede a tutti i partiti e organizzazioni che lo avevano appoggiato indicazione di sciogliersi per unirsi alla nuova organizzazione politica che egli stava costruendo, il Partito Socialista Unito del Venezuela (PSUV).

Questa circostanza acutizzò alcune tensioni che erano andate sviluppandosi all'interno del nostro Partito tra una maggioranza che proponeva di approfondire e rafforzare il profilo autonomo proprio del PCV come organizzazione di classe, alleata ma non subalterna al Presidente e una minoranza che stava manifestando deviazioni non consone ai partiti proletari sia nel linguaggio, che nelle idee, che nella pratica politica e nei metodi di lavoro. Il Comitato Centrale prese la giusta decisione di convocare un Congresso Nazionale in sessione straordinaria, a soli otto mesi dal nostro precedente Congresso, in modo che fosse la massima istanza di direzione della nostra organizzazione a discutere e decidere in merito alla situazione posta dall’ordine presidenziale.

Si tenne così il nostro 13° Congresso Nazionale (straordinario) tra gennaio e marzo del 2007, a seguito del quale si approvò la Tesi sul Partito della Rivoluzione, documento che espone con precisione la concezione del Partito che i rivoluzionari del mondo sostengono: un Partito con chiara definizione di classe, con l'ideologia e il programma proprio della classe lavoratrice, con vocazione internazionalista, con una direzione collettiva e una vita interna regolata dai principi del centralismo democratico e con autonomia assoluta dalla borghesia e dal suo strumento, lo Stato borghese. [13]

Questa definizione del Partito rivoluzionario era ed è incompatibile con le proposte che erano state fatte per la costruzione del PSUV, il quale si prefigurava fin dall'inizio come un’organizzazione interclassista, con forte influenza della piccola borghesia e di funzionari dello Stato, senza un profilo ideologico definito, per cui la stragrande maggioranza del PCV rifiutò le istruzioni emesse dal presidente Chávez. Il 13° Congresso approvò inoltre, di conseguenza, la Risoluzione Politica, che distingueva tra la necessità di avanzare, con il Presidente Chávez, il suo nuovo Partito e le altre forze, nella costruzione di un ampio fronte per sviluppare la lotta antimperialista attualmente in corso nel nostro paese e la necessità parallela di rafforzare e sviluppare un Partito solido e genuinamente di classe come strumento per la futura attività di costruzione socialista:

Così come per raggiungere la vittoria nella lotta anti-imperialista si richiede la più ampia unità delle forze politiche e sociali a livello nazionale, continentale e mondiale, il progresso verso il socialismo richiede contemporaneamente la costruzione di un partito rivoluzionario che raccolga i quadri che esprimono le posizioni più coerenti delle classi e strati sociali storicamente coinvolti nella rivoluzione e nel socialismo; un partito che si costituisca come avanguardia ideologica, politica e organica che dirige in modo organizzato, collettivo e coeso lo sforzo creativo delle masse per distruggere lo Stato capitalista e assumere i compiti di costruzione del Potere Popolare; un partito che sostenga valori, principi e atti, diretti a superare l’egemonia culturale borghese ancora dominante. Questa organizzazione politica deve esprimere nella sua teoria e nella sua prassi sociale le tradizioni storiche e di lotta del nostro popolo di profonda radice bolivariana, così come il marxismo-leninismo applicato alle condizioni concrete della nostra patria [14].

In questo modo, fu sconfitta, con rapidità e decisione, questa epidemia di liquidazionismo. Tuttavia, poco più di un terzo dei membri del nostro Comitato Centrale, così come gruppi importanti, anche se isolati, di dirigenti regionali, locali e militanti di base a Caracas e in diverse altre regioni del paese, disobbedirono alle decisioni del 13 ° Congresso e «migrarono» nel nuovo Partito del Presidente.

Tale «migrazione» è stato il risultato, in alcuni casi, di pressioni abusive esercitate dal governo contro dipendenti statali comunisti, praticamente costretti a riunciare o all'appartenenza al Partito o al proprio posto di lavoro; in altri casi, militanti giovani o inesperti hanno ceduto, confusi dal carisma indiscusso del Presidente e dall'affetto che la sua figura suscita nel nostro Partito e in ampi strati del popolo venezuelano; in altri, è stato il risultato di ambizioni personali di comando e protagonismo che non potevano trovare soddisfazione nella nostra organizzazione e hanno cercato altri spazi di realizzazione;  infine, in alcuni casi emblematici, è stata la conseguenza chiara delle tentazioni opportuniste di destra, nate dalla vicinanza di certi dirigenti del nostro Partito ai settori piccolo-borghesi che dominano il processo di cambiamento attualmente in corso in Venezuela.

In quest'ultimo senso, è molto significativo che, già da diversi anni prima dell'episodio citato, alcuni dei nostri dirigenti avessero adottato, nelle loro analisi e discorsi, l’uso di categorie e formule, estranee al marxismo-leninismo e molto caratteristiche della confusa amalgama di idee, propria dei settori piccolo-borghesi del governo. Esempi notevoli di questo sono, tra gli altri, l’uso forviante e antiscientifico della categoria «impero» al posto di «imperialismo», che mistifica la natura propria della fase suprema del capitalismo e ostacola la sua corretta comprensione e analisi; l'adozione delle frasi «Quarta Repubblica» e «Quinta Repubblica» per riferirsi ai governi precedenti e successivi al 1999, omettendo il fatto che l'essenza della classe (borghese) dell’apparato statale venezuelano non è stata alterata e, di conseguenza, dal punto di vista materialista-storico, vi è stata continuità nella sostanza; o l'uso eccessivamente ottimista dei termini «rivoluzione» e «governo rivoluzionario» per riferirsi al processo di cambiamento guidato dal Presidente Chávez, il cui carattere veramente rivoluzionario è ancora sotto osservazione. Dobbiamo ammettere auto-criticamente che le tracce di questo stile di analisi e linguaggio riuscirono a entrare anche in alcuni dei documenti che approvammo nel nostro 12° Congresso Nazionale nel 2006, il che rivela la profondità e la gravità che aveva raggiunto questa deviazione.

Appena sei mesi dopo la conclusione del 13° Congresso (straordinario), abbiamo tenuto la nostra 11a Conferenza Nazionale, al fine di completare la restaurazione dei nostri organi di direzione e per superare definitivamente le conseguenze della crisi iniziata l’anno precedente. Questa Conferenza stabilì i principi che regolavano e continuano a regolare le relazioni tra il nostro Partito e il PSUV come alleati nella costruzione del fronte ampio anti- imperialista, in un quadro di rispetto reciproco e di non ingerenza nelle questioni della vita interna delle organizzazioni; allo stesso modo, si stabilirono alcune linee guida per le relazioni del PCV con i nostri ex militanti che erano «migrati» (questo fu il termine utilizzato all’epoca) nel Partito alleato:

Nonostante il loro comportamento divergente dalle norme interne del PCV, non bisogna considerare [i «migrati»] come disertori e traditori, in quanto hanno deciso di andare in una organizzazione che non è controrivoluzionaria; al contrario [...] questo nuovo Partito è oggettivamente nostro alleato nel lavoro verso la rivoluzione nazionale liberatrice [15].

Anche se un po’ indebolito numericamente da tali «migrazioni», il nostro Partito è uscito da questo episodio depurato e rinvigorito sul piano ideologico. Abbiamo cercato da allora di esercitare una maggiore cura nel rigore scientifico della nostra analisi e nell'uso corretto e preciso delle categorie proprie del marxismo-leninismo.

Allo stesso tempo, abbiamo visto come ex comunisti, che avevano iniziato la loro degenerazione ideologica negli anni 2005-2007, hanno continuato adesso fuori dal nostro Partito il loro scivolamento lungo il sentiero dell’opportunismo verso posizioni sempre più lontane dalla scienza rivoluzionaria, fino a giungere negli ultimi tempi a distorcere postulati fondamentali dell’economia politica marxista e a mettere in discussione il carattere della classe operaia come forza motrice fondamentale della futura rivoluzione socialista. In questo cammino, lo ripetiamo oggi come negli anni '70 lo dicemmo di coloro che fondarono il MAS, «si va verso un dirupo fatale».

V

Particolare attenzione merita il caso dei partiti e delle organizzazioni che, anche se attualmente collaborano oggettivamente con la destra nazionale e transnazionale nello sforzo di ripristinare lo stato delle cose precedente al 1999, si ostinano chiamarsi «progressisti» o di «sinistra». Ci riferiamo, in particolare, ai resti degenerati della vecchie organizzazioni che hanno raggiunto nei decenni precedenti il loro apice con un discorso e uno stile progressista e persino rivoluzionario, ma che sono stati smascherati dalla storia come prodotti di focolai opportunisti senza vera sostanza rivoluzionaria.

La più tragica di queste, anche se sicuramente non la più importante per numeri e influenza, si chiama Bandera Roja (BR). Questo è un gruppo con radici nei movimenti che persistettero nella tattica della lotta armata dopo il ritiro militare del PCV nel 1967 ed è il prodotto delle successive scissioni e ricombinazioni del defunto Movimento della Sinistra Rivoluzionaria (MIR, risultato a sua volta di una divisione dal socialdemocratico AD) e di vari gruppi avventuristi di origine eterogenea che vi si aggiunsero nel corso degli anni. Nella sua composizione ideologica si possono individuare elementi di maoismo e guevarismo (dottrina del cosiddetto «fuochismo»).

Dalla metà degli anni ‘70, isolato dalla classe operaia e praticamente senza collegamenti con nessun movimento importante di massa, il principale scenario d'azione politica di BR è stato il movimento studentesco universitario, nel quale godeva di una certa influenza e dal quale reclutò la maggior parte dei suoi quadri. Il nostro Partito e la nostra Gioventù hanno ripetutamente condannato l'opportunismo e l’avventurismo delle azioni di BR, e hanno cercato, ovunque fosse possibile, di stabilire un dibattito politico con i suoi dirigenti.

Durante gli anni ‘80, sempre più isolato, accerchiato e infiltrato dalle forze di sicurezza dello Stato, BR e la sua periferia hanno subito duri colpi per mano della repressione militare e della polizia che gli causarono pesanti perdite, in particolare nelle denominate «stragi di Cantaura e Yumare», denunciate a suo tempo dal nostro Partito come crimini di Stato contro l'umanità. Da allora, smantellato il suo apparato militare, BR ripiegò esclusivamente sul campo studentesco universitario, nel quale fu protagonista di azioni provocatorie di grande coraggio ma senza contenuto politico costruttivo, che venivano rifiutate quasi unanimemente dalla popolazione.

Dall’opportunismo di ultrasinistra, BR passo a quello di ultradestra alla fine degli anni ’90, prima della vittoria elettorale del Presidente Chávez. Alcuni dei sui quadri ruppero allora con l’organizzazione e si aggiunsero al progetto politico del Presidente e oggi occupano posti d’importanza nel PSUV e nel governo, mentre altri si schierarono all'opposizione al nuovo governo e si convertirono, in pratica, in una banda d’assalto al servizio di coloro che li avevano perseguitati e assassinati nei decenni precedenti.

Dobbiamo considerare anche il caso dell’organizzazione chiamata La Causa Radical (La Causa-R o LCR). Fondata intorno al 1972 in seguito di disaccordi e lotte di leadership tra i rinnegati espulsi dalle nostre fila nel 1971 (in particolare tra Maneiro, da un lato e Petkoff, Muñoz e Márquez dall'altro), LCR è stata durante i suoi primi anni un’organizzazione all'ombra del MAS, che era molto più grande.

Approfittando del vuoto che i comunisti avevano lasciato nel movimento operaio durante la lotta armata, un errore che non siamo ancora riusciti a recuperare completamente, LCR crebbe rapidamente nei sindacati durante gli anni ‘70 e ‘80, e riuscì a raggiungere un'influenza importante soprattutto tra gli operai delle grandi industrie metallurgiche della regione di Guyana. Lì si rivelò nuovamente la natura opportunista di LCR che da allora evidenziò il suo destino politico: una prassi concreta nel movimento sindacale sempre più operaista e rivendicativa e sempre più lontana dal vero sindacalismo di classe.

La degenerazione dei sindacati controllati da LCR portò anche a pratiche apertamente corrotte e al progressivo deterioramento della loro influenza. Nei primi anni '90, LCR ebbe un breve periodo di massimo splendore come partito politico nazionale, sia in proprio che a sostegno di figure individuali della destra, ma la mancanza di coerenza ideologica e politica ne impedì una crescita maggiore e la fece decadere quasi subito. Ha fatto parte dell'alleanza che appoggiò la candidatura presidenziale di Hugo Chávez nel 1998, ma nei primi anni del nuovo governo ruppe con il Presidente e si unì all'opposizione, dove permane fino ad oggi.

Un gruppo importante dei sui dirigenti scelse di restare unito al Presidente Chávez e formò una nuova organizzazione, il Partito Patria Per Tutti (PPT), il quale, dopo essersi scisso in almeno due occasioni, finì per confluire con LCR nelle file dell'opposizione. Alcuni dei membri del PPT, nel 2007 hanno deciso di aderire al PSUV e oggi sono al fianco del Presidente.

Il MAS e suoi derivati​, insieme a BR, LCR e i loro discendenti, cercano adesso  di sfruttare il loro remoto passato di sinistra, issando  presunte bandiere «progressiste» e facendosi passare come l’«ala sinistra» dell'opposizione al Presidente Chávez. Questa manovra, nuova dimostrazione del carattere opportunista e della natura aclassista di tali elementi, cerca di confondere alcuni settori della classe lavoratrice e del popolo e per questo deve essere denunciata e smascherata.

VI

E' ora di concludere con alcune consideraioni e insegnamenti che si traggono dalla nostra storia di lotte contro l'opportunismo. Il primo e più importante è la verifica nella nostra esperienza di ciò che Lenin affermava circa l'origine e la natura dell’opportunismo come espressione della presenza ineludibile nelle file dei partiti rivoluzionari di elementi piccolo-borghesi con le loro concezioni e tendenze:

... in ogni paese capitalistico, accanto al proletariato, esistono sempre larghi strati di piccola borghesia, di piccoli proprietari. [...] È quindi assolutamente naturale che le concezioni piccolo-borghesi penetrino di nuovo nelle file dei grandi partiti operai [16].

Ogni strato piccolo-borghese che si presenta con forza sufficiente nel nostro Partito, tenderà automaticamente a sviluppare la propria varietà di opportunismo, conformemente con le sue caratteristiche, interessi e profili, a meno che non sia fermato in tempo. L’intellettualità universitaria radicalizzata tenderà all’opportunismo di sinistra, mentre i funzionari, professionisti e altri relativamente stabili e benestanti, tenderanno a quello di destra.

Da qui, da questa diagnosi, si apprendono senza troppa fatica la medicina e la profilassi per questa malattia: la proletarizzazione integrale del nostro Partito. Non ci riferiamo solo alla profonda assimilazione dei punti di vista e dell'ideologia proletaria da parte dei membri del Partito che non provengono originalmente dalla classe operaia, ma soprattutto alla presenza effettiva e dominante di quadri operai negli organi di direzione del Partito in proporzione elevata a seconda delle circostanze. Quest'ultima è quella che il compagno Álvaro Cunhal denomina la «regola d'oro»:

Garanzia importante per la politica di classe del Partito è la partecipazione determinante di militanti operai nella direzione. Ossia, una direzione di partito con maggioranza operaia. [...] Accade più frequentemente, come  regola generale, che l'ideologia borghese influenzi più facilmente gli intellettuali che gli operai e, pertanto, la presenza determinante di operai nella direzione assicura maggiore solidità di principi che non la partecipazione determinante di compagni di altra origine sociale [17].

Tale regola, come abbiamo visto, è stata precisamente la medicina che si prescrisse il PCV nel 4° Congresso Nazionale del 1971. In questo stesso senso, il nostro 13° e 14° Congresso e la nostra 11a Conferenza, hanno insistito, negli ultimi anni, sulla necessità di aumentare la presenza proletaria nelle file del nostro Partito e hanno dato priorità al lavoro tra e con la classe lavoratrice come primo compito del PCV. Dobbiamo, tuttavia, riconoscere che, anche se recentemente abbiamo avuto alcuni importanti successi in tal senso, il nostro Partito oggi non è ancora in grado di applicare pienamente questa regola d’oro.

La seconda grande lezione che si apprende dalla nostra esperienza è che la dialettica implacabile della storia, prima o poi, si impone su tutti gli opportunisti, anche contro la loro volontà e finisce per spingerli nel campo della borghesia; cioè, tutti gli opportunisti finiscono sempre per essere di destra, indipendentemente dalle forme e slogan che inizialmente adottano. Ciò perché tutti hanno in comune un elemento centrale: il rifiuto e il disconoscimento del punto di vista di classe del proletariato, che  impediscono loro di apprezzare la prospettiva storica dello sviluppo generale della società [18].

Infatti, come dice lo stesso Lenin, qualsiasi opportunismo, in un modo o nell'altro, con maggiore o minore enfasi teorizzante, con maggiore o minore raffinatezza, sempre «falsifica il marxismo amputandogli tutto ciò che la borghesia non può accettare» [19]. Naturalmente, la prima cosa da mutilare nella nostra dottrina per ottenere il placet della borghesia è proprio l'analisi di classe, fulcro e parte fondamentale di tutto il marxismo.

E' quindi indispensabile esercitare la maggiore vigilanza per quanto riguarda il rigore teorico e concettuale della nostra analisi e per quanto riguarda l'uso preciso delle categorie scientifiche del marxismo-leninismo. L'esperienza ci dice che i focolai opportunisti tendono ad annunciarsi con deviazioni o «innovazioni» sul piano del vocabolario e dell'analisi ancor prima di diventare visibili nel campo dell'azione pratica.

Questo non significa in alcun modo che dobbiamo dogmaticamente resistere al legittimo e necessario sviluppo della scienza rivoluzionaria, o che dobbiamo chiudere al sano dibattito e al naturale scambio di idee sia all'interno che all'esterno delle nostre file; al contrario, significa che dobbiamo affrontare ogni dibattito e tutto il potenziale sviluppo dottrinale con la massima serietà e rigore. La scienza può e deve crescere e svilupparsi, ma è nostro dovere esercitare la vigilanza critica in modo che, tra le innovazioni legittime, non si infiltri il contrabbando ideologico che snaturi i fondamenti verificati del marxismo-leninismo, soprattutto in tutto quello che ha a che fare con l’analisi di classe.

Infine, vogliamo segnalare che le nostre battaglie contro il liquidazionismo hanno ribadito l'importanza di mantenere l'indipendenza e l'autonomia organica e programmatica del partito politico della classe lavoratrice. Come ha dimostrato lo sviluppo successivo degli eventi, cedere alle pressioni liquidazioniste, per potenti e seducenti che fossero all’epoca, sarebbe stato un errore dalle conseguenze catastrofiche, che avrebbe lasciato la classe operaia politicamente disarmata e su un livello ancora maggiore di impotenza e disorganizzazione di fronte alle forze e alle posizioni piccolo-borghesi e borghesi.

Facciamo nostre, a questo proposito, le parole del compagno José Carlos Mariátegui:

... l'avanguardia del proletariato e dei lavoratori coscienti, fedeli alla loro azione sul terreno della lotta di classe, ripudiano ogni tendenza che significa fusione con le forze politiche e gli organismi di altre classi. Condanniamo come opportunista ogni politica che proponga la rinuncia momentanea del proletariato alla sua indipendenza di programma e d'azione, che in ogni momento deve mantenersi integra. [20]

Oggi, sconfitte le posizioni che cercavano di liquidare il nostro Partito e sottomesse le influenze che aspiravano a diluire o deformare il nostro profilo di classe e ad allontanarci dall'ideologia marxista-leninista, il PCV cresce e si rafforza con nuove energie e con la bussola puntata saldamente verso la prospettiva della rivoluzione socialista e il futuro comunista.


[1] Fernando Key Sánchez. Fondazione del Partito Comunista del Venezuela. Caracas: Fondo Editorial Carlos Aponte.

[2] Partito Comunista del Venezuela. Il Congresso di Unità dei Comunisti. Caracas: Commissione Nazionale per l'Educazione e Propaganda.

[3] Gyorgy Lukacs. Lenin: Unità e coerenza del suo pensiero. Buenos Aires: La Rosa Blindada,1968.

[4] 4° Congresso Nazionale del PCV. «Relazione del Comitato Centrale (A cura di Jesús Faría)». In: 4° Congresso Nazionale del PCV. Documenti e Risoluzioni. Caracas: Gráfica Americana: 77-112.

[5] 4° Congresso Nazionale del PCV. «Relazione del Comitato Centrale (A cura di Jesús Faría)». In: 4° Congresso Nazionale del PCV. Documenti e Risoluzioni. Caracas: Gráfica Americana: 77-112.

[6] 6° Congresso Nazionale del PCV. Programma del PCV. Caracas: COTRAGRAF.

[7] Pedro Ortega Díaz e Antonio García Ponce. Le idee anti-socialiste di Teodoro Petkoff. Caracas: Editorial Cantaclaro., Rafael José Cortés. «Processo alla sinistra o sbandamento verso la destra?». In: Il MAS, sbandata verso la destra. Caracas: Edizioni Centaur, 1979: 75-106, 1979: 75-106, Rafael José Cortés. In difesa del socialismo (Risposta alle «Conversazioni»). Caracas: Gráficas Rio Orinoco.

[8] «Resolución de expulsión del grupo fraccional renegado (Declaración del 4o Congreso sobre la reciente deserción)». En: 4o Congreso Nacional del PCV. Documentos y Resoluciones. Caracas: Gráfica Americana: 211-223.

[9] Rafael José Cortés. «Processo alla sinistra o sbandamento verso la destra?». In: Il MAS, sbandata verso la destra. Caracas: Edizioni Centaur, 1979: 75-106.

[10] 4° Congresso Nazionale del PCV. «Risoluzione di espulsione del gruppo frazionista rinnegato (Dichiarazione del 4 ° Congresso sulla recente diserzione)». In: 4° Congresso Nazionale del PCV. Documenti e Risoluzioni. Caracas: Gráfica Americana: 211-223.

[11] 14° Congresso Nazionale del PCV. «Linea Politica». [In corso di pubblicazione].

[12] ibídem

[13] 13° Congresso Nazionale (straordinario) del PCV. «Tesi sul Partito della Rivoluzione». In: Documenti fondamentali del Partito Comunista del Venezuela. Caracas: Dipartimento Nazionale dell’Educazione e Ideologia del PCV, 2009: 99-112.

[14] 13° Congresso Nazionale (straordinario) del PCV. «Risoluzione Politica». In: Documenti fondamentali del Partito Comunista del Venezuela. Caracas: Dipartimento Nazionale dell’Educazione e Ideologia del PCV, 2009: 97-98.

[15] 11a Conferenza Nazionale del PCV. «Relazione Centrale». In: Documenti fondamentali del Partito Comunista del Venezuela. Caracas: Dipartimento Nazionale dell’Educazione e Ideologia del PCV, 2009:117-130.

[16] Vladimir I. Lenin. «Marxismo e revisionismo». In: Opere scelte. Mosca: Progress Publishers, 1974: 20-27.

[17] Álvaro Cunhal. Il Partito con pareti di vetro. Lisbona: Editoriale Avante, 2006.

[18] Gyorgy Lukacs. Lenin: Unità e coerenza del suo pensiero. Buenos Aires: La Rosa Blindada,1968.

[19] Vladimir I. Lenin. «La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky». In: Opere scelte. Mosca: Progress Publishers, 1974: 400-494.

[20] José Carlos Mariátegui. «Su un argomento superato». In: Ideologia e politica. Caracas: Edizioni del Ministero delle Comunicazioni e dell'Informazione, 2006: 199-201.