La socialdemocrazia al servizio delle classi dominanti. La lotta del partito comunista


Raul Martinez e Ramon Lopez, rispettivamente responsabile e membro dell'Area ideologica del CC del PCPE

Il revisionismo, fenomeno storico ostile al marxismo

Dalla nascita del movimento operaio fino ai nostri giorni si è condotta al suo interno un intensa lotta tra due tendenze: quella rivoluzionaria e quella opportunista. L'opportunismo ha assunto nel corso della storia diverse e numerose manifestazioni, sia nelle forme di "sinistra" come di destra. In questo articolo si affronta l'opportunismo di destra o revisionismo, prima fonte della corrente politica che oggi conosciamo come socialdemocrazia, la cui natura è mutata, nel corso del XX secolo, trasformandosi da corrente del movimento operaio in movimento politico difensore a oltranza e pilastro essenziale del capitalismo monopolista.

Il revisionismo è emerso alla fine del XIX secolo quando, dopo la morte di Federico Engels, scoppiò una aperta lotta all'interno del movimento socialista guidata dal tedesco Eduard Bernstein, la cui massima "L'obiettivo finale, non importa quale sia, non è nulla ; il movimento è tutto" [1] si è trasformata nella bandiera dei seguaci della teoria revisionista e della sua pratica politica, il riformismo. Lenin sosteneva a questo proposito:

"queste alate parole di Bernstein esprimono meglio di tante lunghe disquisizioni l'essenza del revisionismo. Determinare la propria linea di condotta caso per caso; adattarsi ai fatti del giorno e alle svolte dei piccoli fatti politici; dimenticare gli interessi fondamentali del proletariato e i tratti essenziali di tutto il regime capitalistico, di tutta l'evoluzione del capitalismo; sacrificare questi interessi fondamentali ai reali o presunti vantaggi del momento: ecco la politica revisionistica. Dalla sostanza stessa di questa politica risulta chiaramente che essa può assumere forme infinitamente varie e che ogni problema in qualche misura «nuovo», ogni svolta più o meno inattesa e imprevista, pur se modifica in misura infima e per un periodo assai breve il corso fondamentale degli eventi, deve suscitare inevitabilmente questa o quella variante del revisionismo". [2]

Il revisionismo, sostenendo che le condizioni socio-economiche erano cambiate radicalmente, si manifestò apertamente ostile al marxismo, rifiutando i principi fondamentali della scienza marxista:

- A livello filosofico, ha negato il suo carattere di parte e di classe, andando a rimorchio della "scienza" borghese e trascinandosi dietro i neo-kantiani. [3]

- Sul piano economico, ha negato la teoria del valore, la legge dell'accumulazione capitalistica e la legge della pauperizzazione assoluta e relativa del proletariato nelle nuove condizioni del capitalismo. Voleva dimostrare che nel settore agricolo non si produce un processo di concentrazione della proprietà e la sostituzione dei piccoli proprietari con i grandi. Difese l'idea che il processo di concentrazione della proprietà si svolgeva in forma estremamente lenta nel settore industriale e commerciale. Formulò la tesi che le grandi imprese capitaliste avrebbero posto fine all'anarchia della produzione e quindi automaticamente diminuiva la contraddizione tra il proletariato e la borghesia. [4]

- Nel campo della politica, il revisionismo ha cercato di revisionare ciò che costituisce di fatto la base del marxismo: la teoria della lotta di classe. La libertà politica, la democrazia, il suffragio universale, distruggono la base della lotta di classe, dicono i revisionisti. Dal momento che nella democrazia impera la "volontà della maggioranza", non dovremmo vedere nello Stato, secondo loro, l'organo della dominazione di classe, né rifiutarci di fare alleanze con la borghesia progressista contro i reazionari. [5]

Per Lenin il revisionismo, o la "revisione" del marxismo, è una delle manifestazioni principali, se non la principale, dell'influenza borghese sul proletariato e della corruzione borghese dei proletari [6], esprimendo nella sua opera "Il fallimento della II Internazionale", la seguente definizione di opportunismo:

"L'opportunismo consiste nel sacrificare gli interessi fondamentali delle masse agli interessi temporanei di un'infima minoranza di operai, oppure, in altri termini, nell'alleanza di una parte degli operai con la borghesia contro la massa del proletariato" [7]

L'ideologia è il riflesso, nella coscienza degli esseri umani, delle condizioni sociali oggettivamente esistenti e, principalmente, un riflesso dei rapporti di produzione imperanti. Così, dal punto di vista leninista, si distinguono le radici storiche del fenomeno revisionista e la sua natura di classe:

"in ogni paese capitalista esistono sempre, accanto al proletariato, larghi strati di piccola borghesia, di piccoli proprietari. Il capitalismo è nato e nasce continuamente dalla piccola produzione. Nuovi numerosi "strati medi" vengono inevitabilmente creati dal capitalismo ... Questi nuovi piccoli produttori sono essi pure in modo inevitabile respinti nuovamente nelle file del proletariato. E' del tutto naturale quindi che le concezioni piccolo-borghesi penetrino nuovamente nelle file dei grandi partiti operai. E' del tutto naturale che debba essere così e sarà così sempre, sino allo sviluppo della rivoluzione proletaria" [8]

In breve, il marxismo-leninismo sottolinea tre caratteristiche essenziali dell'opportunismo di destra o revisionismo:

- Il revisionismo è un fenomeno internazionale, essendo il prodotto sociale di una determinata epoca storica.

- Il revisionismo appare regolarmente nei partiti operai, dato il carattere ciclico dello sviluppo del capitalismo, e può assumere varie forme.

- L'opportunismo di destra, nel rivedere i principi fondamentali del marxismo, snatura il carattere rivoluzionario del partito operaio, deviandolo dal suo principale obiettivo: la distruzione del potere economico e politico della borghesia. [9]

Di fronte alla pratica politica riformista, che deriva dai postulati teorici revisionisti, Lenin sosteneva che la borghesia, porgendo con una mano le riforme, le ritira con l'altra, le riduce a nulla o le usa per schiavizzare gli operai, per dividerli in gruppi, per perpetuare la schiavitù salariata dei lavoratori e lavoratrici. Quindi, il riformismo, anche quando è totalmente sincero, in pratica diventa uno strumento della borghesia per corrompere gli operai e ridurli all'impotenza. L'esperienza di tutti i paesi dimostra che il movimento operaio è stato beffato ogni volta che ha confidato nei riformisti. [10]

Il fallimento della II Internazionale, la socialdemocrazia e la guerra imperialista.

La maggior parte dei partiti della II Internazionale ha consumato il suo fallimento tradendo le risoluzioni del Congresso di Basilea (1912), in cui i partiti socialdemocratici avevano stabilito la loro posizione di opposizione alla guerra imperialista in gestazione e chiamando il proletariato mondiale a combattere attivamente contro di essa. Tuttavia, il 4 agosto 1914, i socialdemocratici tedeschi e francesi votarono nei loro rispettivi parlamenti i crediti di guerra, votarono a favore della guerra imperialista e entrarono a far parte dei governi dei loro paesi, come successivamente fecero i socialdemocratici inglesi e belgi, ottenendo così la fiducia della borghesia per la gestione del capitalismo e trasformandosi pertanto da partiti operai opportunisti in partiti borghesi.

La maggior parte dei partiti raggruppati fino ad allora nella II Internazionale subirono la loro prima grande mutazione storica, trasformandosi da partiti operai socialisti, nei quali convivevano in dura lotta la tendenza opportunista e quella rivoluzionaria, in partiti operai nazional-liberali, facendo a pezzi l'internazionale, all'interno della quale l'opportunismo aveva guadagnato forza durante il periodo di sviluppo relativamente pacifico del capitalismo intercorso tra il 1871 e il 1914.

Lenin, in piena guerra mondiale, approfondì la sua caratterizzazione dell'opportunismo. Lo definì come base economica dello sciovinismo e dell'opportunismo, l'alleanza di pochi strati superiori del proletariato e della piccola borghesia - che approfittano delle briciole dei privilegi del "loro" capitale nazionale - contro le masse proletarie, contro le masse lavoratrici. Mise in evidenza che la vecchia divisione dei socialisti in corrente opportunista e corrente rivoluzionaria, tipica dell'epoca della II Internazionale (1889-1914), corrispondeva con la nuova divisione tra sciovinisti e internazionalisti. La difesa della collaborazione di classe, l'abbandono dell'idea della rivoluzione socialista e dei metodi rivoluzionari di lotta, l'adattamento al nazionalismo borghese, il feticismo della legalità borghese, la rinuncia al punto di vista di classe e alla lotta di classe per paura di respingere "le grandi masse della popolazione" (leggasi la piccola borghesia): tali sono per Lenin le basi ideologiche dell'opportunismo [11]. Partendo dal fatto che l'opportunismo non è frutto del caso, né un peccato, un lapsus o un tradimento di un gruppo di individui isolati, Lenin affermò che si trattava del prodotto sociale di un'intera epoca storica, mettendo in luce anche il suo carattere di classe:

"Il periodo dell'imperialismo è il periodo della spartizione del mondo fra le "grandi" nazioni privilegiate che opprimono tutte le altre. Qualche briciola del bottino derivante da questi privilegi e da questa oppressione va, indubbiamente, anche a certi strati della piccola borghesia, nonché dell'aristocrazia e alla burocrazia della classe operaia. Questi strati, che sono un'infima minoranza del proletariato e delle masse lavoratrici, gravitano intorno allo "struvismo" perché questo offre una giustificazione alla loro alleanza con la borghesia della "propria" nazione contro le masse oppresse di tutte le nazioni." [12]

"L'opportunismo è stato generato, nel corso di decenni, dalle particolarità di un determinato periodo di sviluppo del capitalismo, in cui uno strato di operai privilegiati, che aveva un'esistenza relativamente tranquilla e civile, veniva "imborghesito", riceveva qualche briciola dei profitti del proprio capitale nazionale e veniva staccato dalla miseria, dalla sofferenza e dallo stato d'animo rivoluzionario delle masse misere e rovinate". [13]

Così, si è posto in chiaro il ruolo concreto dell'aristocrazia e della burocrazia operaia nel quadro generale della lotta di classe propria dell'epoca imperialista, analisi che conserva piena attualità nei nostri giorni.

Per Lenin, la prima guerra mondiale è stata un punto di svolta molto importante nella storia che ha reso impossibile continuare ad avere lo stesso atteggiamento verso l'opportunismo che aveva caratterizzato il periodo precedente. Era impossibile negare il fatto che nel momento di crisi gli opportunisti avevano abbandonato i partiti operai per passare nel campo della borghesia:

"Si è formato tutto uno strato sociale di parlamentari, di giornalisti, di burocrati del movimento operaio, di impiegati privilegiati e di alcune categorie proletarie, che si è fuso e adattato alla propria borghesia nazionale, la quale ha ben saputo apprezzarlo e «adattarselo»". [14]

Pertanto, toccava passare all'azione:

"Non si può far girare all'indietro né arrestare la ruota della storia: si può e si deve andare avanti con coraggio e senza esitazioni, passare dalle organizzazioni legali operaie esistenti, prigioniere dell'opportunismo, alle organizzazioni rivoluzionarie della classe operaia, capaci di non limitarsi alla legalità, capaci di proteggersi dal tradimento opportunista, a un'organizzazione del proletariato che conduca la "lotta per il potere", la lotta per l'abbattimento della borghesia". [15]

Era stato dimostrato che nell'epoca dell'imperialismo si doveva scartare la vecchia teoria che l'opportunismo è una "sfumatura legittima" all'interno di un partito operaio unico, poiché si era convertito nel più grande ostacolo allo sviluppo rivoluzionario del movimento operaio.

La II Internazionale era morta, vinta dall'opportunismo, la Terza Internazionale aveva di fronte a sé il compito di organizzare le forze del proletariato per l'offensiva rivoluzionaria contro i governi capitalisti, per la guerra civile contro la borghesia di tutti i paesi per il potere politico e la vittoria del socialismo.

La definitiva mutazione della socialdemocrazia dopo la seconda guerra mondiale.

Dopo il trionfo della Grande Rivoluzione Socialista d'Ottobre del 1917 la divisione in tre ali si consolida: la destra, rappresentata dai revisionisti e convertita in partito borghese; la sinistra, rappresentata dai comunisti, con i bolscevichi all'avanguardia; e l'ala centrista, formalmente marxista e che si adatta nella pratica all'opportunismo, affermando di cercare l'unità e la pace nel partito. Il settore centrista è guidato da Kautsky, che dedicherà i suoi sforzi teorici a attaccare la Rivoluzione d'Ottobre, accusando i bolscevichi di aggirare i limiti imposti dalle forze produttive della Russia e, in ultima analisi, qualificando la rivoluzione come un'aberrazione.

Nel periodo tra la prima e la seconda guerra mondiale, il settore centrista dominerà la II Internazionale, decretando risoluzioni formalmente "rivoluzionarie" e "marxiste" ma, in pratica, piegandosi alle richieste dell'ala destra, che è andata, in questo modo, rafforzandosi fino al punto di costringere in molti casi alla partecipazione della socialdemocrazia ai gabinetti borghesi.

Da questa partecipazione ministeriale in vari paesi - Regno Unito, Francia, Germania, ecc - emersero elementi che ora non facevano più dubitare del salto operato dalla socialdemocrazia da una posizione riformista, ma di classe, verso una posizione borghese, situata tra i liberali e il comunismo. Dall'assassinio di Rosa Luxemburg e Karl Liebneckht, fino alle misure economiche anti-operaie attuate col pretesto della crisi del capitalismo del 1929, rivelano la vera natura della socialdemocrazia come partito borghese incaricato di realizzare la riconciliazione delle classi per cercare di prevenire e contenere il focolaio rivoluzionario opponendosi allo sviluppo del movimento comunista.

Il ruolo vergognoso della socialdemocrazia durante l'ascesa del fascismo, il suo rifiuto a giungere ad accordi con la III Internazionale e la sua vacillazione piccolo-borghese nei momenti decisivi nella lotta di classe, sono stati la chiave per capire come il fascismo sia giunto ad appropriarsi con relativa facilità dell'apparato politico dello Stato in diversi paesi. La loro fiducia nei metodi legali, il loro liberalismo marcio, dimostrò che la socialdemocrazia era diventata sostenitrice del capitalismo, ostacolando lo sviluppo della politica del fronte unico dell'Internazionale Comunista. [16]

Ma è dopo la seconda guerra mondiale che ha luogo la più evidente e definitiva mutazione della socialdemocrazia. Il trionfo sul nazifascismo, i successi nella costruzione del socialismo in URSS, l'estensione del blocco socialista mondiale a tutta una serie di paesi, lo sviluppo delle contraddizioni nei paesi capitalisti dell'Europa occidentale come conseguenza della distruzione delle forze produttive operata nella guerra, la riduzione della base materiale del capitalismo, l'enorme prestigio del movimento comunista internazionale tra le masse operaie dell'Occidente, sono fattori che collocano l'imperialismo in un vicolo cieco. La socialdemocrazia, dalla parte dei suoi amici borghesi, ritrova di nuovo il proprio posto con l'intento di neutralizzare la lotta di classe. Molti dirigenti socialdemocratici in esilio lavorarono a stretto contatto con gli imperialisti anglo-nordamericani formando quello che sarebbe stato l'ordine susseguente alla sconfitta del nazi-fascismo in paesi come Italia, Germania, Francia, Svezia, Norvegia, ecc. [17]

Nel 1951 si svolge il Congresso di Francoforte, nel quale si crea l'Internazionale Socialista, e nel 1959 nel cosiddetto Programma di Bad Godesberg si fissano per iscritto le posizioni politiche della socialdemocrazia nel partito più grande e più influente di questa tendenza, l'SPD, che determinerà i programmi del resto dei partiti e della loro ricostituita Internazionale.

In questo programma si abbandona formalmente il riferimento al marxismo e si trova, senza nominarlo nemmeno, accanto all'"etica cristiana" e all'"umanesimo". Erano già passati i tempi nei quali la socialdemocrazia necessitava dell'etichetta marxista per combattere il movimento comunista, a partire da questo momento si tratta di una aperta lotta contro il marxismo. Nel terreno della lotta di classe si sussume la lotta operaia all'interno della lotta per "maggiore democrazia" come obiettivo ultimo del "socialismo democratico", i cui orizzonti sono vaghi e si riferiscono a elementi economici che non superano il livello di riformismo liberale, accettando nei suoi termini principali le teorie economiche borghesi, la disciplina di bilancio, il keynesismo come un freno alla lotta di classe, ecc.; per dirlo con i concetti che utilizza lo stesso programma:. "tanta concorrenza quanto possibile, tanta pianificazione quanto possibile" [18]

Se tuttavia rimangono dei dubbi, appaiono riferimenti contro il "controllo totalitario dell'economia" affermando la necessità dell'esistenza della proprietà privata. Come orizzonte massimo - mai applicato coerentemente- il riferimento alla "democrazia economica" nella quale la classe operaia dovrebbe poter intervenire nella gestione delle imprese private e pubbliche. Tranne che in alcuni settori produttivi in Germania e in altri paesi europei, e con la condizione che tale partecipazione si limitava a determinati questioni di gestione - così come avviene oggi con la partecipazione dei membri dei comitati d'impresa (emblema di questa politica socialdemocratica) nei consigli d'amministrazione - e esercitata dalla burocrazia sindacale riformista, ciò non è mai stato applicato in nessun paese, pur potendo contare su maggioranze parlamentari sufficienti per farlo. In realtà il Programma di Godesberg, accettato a livello internazionale dalla socialdemocrazia, trovò applicazione unicamente per l'istruzione pubblica e la sanità, e sempre limitato a determinati paesi dell'Europa occidentale.

Le contraddizioni economiche inerenti il cosiddetto "Stato Sociale" - che non è stato altro che Stato di sfruttamento per le maggioranze operaie sacrificate sull'altare dello sviluppo capitalista e imperialista - ha condotto allo scoppio della crisi capitalista degli anni Settanta e a un cambio nella percezione della maggior parte della borghesia, con l'abbandono dei principi keynesiani e l'adozione di un approccio nettamente liberale, riprendendo le sue vecchie concezioni del "lasciar fare", separando lo Stato dall'intervento economico diretto e portandolo ad esercitare la sua influenza solo attraverso il bilancio e la politica monetaria, intraprendendo la privatizzazione del settore pubblico creato nel periodo precedente.

E' necessario, tuttavia, aggiungere che lo stesso Programma di Godesberg rinunciava già e questi meccanismi "diretti" e privilegiava quelli indiretti, salvo in quei settori in cui era necessario l'intervento statale per impedire la creazione di monopoli privati. In realtà, la versione liberale sostiene esattamente lo stesso, e parla anche di "economia mista" per includere questi metodi di intervento dello Stato. Ciò che accadde in queqli anni, anni ottanta e novanta del XX secolo, è l'abbandono della teoria dei "monopoli naturali nelle mani dello Stato" - energia, trasporti, telecomunicazioni e altri settori strategici - mentre si abbracciano le idee di una Banca centrale la cui politica monetaria mira solamente al controllo dell'inflazione su ogni altra considerazione, in quanto ci può essere permesso un certo livello di inflazione per incoraggiare l' investimento borghese.

La borghesia in questo periodo - fino all'inizio della crisi capitalista attuale - dà priorità alla privatizzazione, mercificazione di settori produttivi situati ai margini dell'azione della legge del valore - la cui sfera d'azione era stata modificata con l'intervento dei poteri statali - all'internazionalizzazione delle società monopolistiche che avevano accumulato grandi quantità di capitali nel periodo precedente; allo stesso tempo peggiorano le condizioni politiche nelle quali il movimento operaio deve lavorare per difendere le proprie condizioni di vita e di lavoro e si incrementa la repressione del movimento rivoluzionario, la militarizzazione dell'economia e il dispiegamento della guerra imperialista.

Oggi, la socialdemocrazia mantiene un certo legame con il movimento operaio attraverso delle centrali sindacali riformiste, dove conserva ancora un discorso della "difesa dei lavoratori" di tipo puramente economico e che tende, sempre, verso la conciliazione con la borghesia. La sua missione è garantire la pace sociale, l'impossibilità dello sviluppo di una risposta operaia che possa trasformarsi, come conseguenza dell'aumento della sua combattività e della sua organizzazione, nello sviluppo della coscienza di classe, del passaggio di coscienza di classe in sé a coscienza di classe per sé, in alternativa rivoluzionaria al capitalismo agonizzante.

Nella crisi capitalista in cui siamo immersi, la socialdemocrazia ha una missione molto chiara: applicare le misure più contrarie agli interessi operai mantenendo, entro i limiti fissati dall'oligarchia, il conflitto di classe. Quindi, mentre approvano misure legali che sono in contrasto con i più elementari diritti acquisiti in decenni di lotta del movimento operaio (contrattazione collettiva, il diritto al trattamento di fine rapporto, una degna quantità di salario minimo e le pensioni, ecc.), mantiene il controllo su una burocrazia sindacale profondamente legata alla socialdemocrazia e all'apparato dello Stato borghese.

Le posizioni del "patto sociale" sono dirette a incatenare il movimento operaio a politiche palesemente contrarie ai propri interessi, favorendo i monopoli e scaricando le contraddizioni scoppiate con la crisi capitalista sulle spalle della classe operaia e degli strati popolari. Si tratta di far resuscitare la tendenza alla caduta del tasso di profitto, di favorire il ciclo di riproduzione allargata del capitale e, a tal fine, di intensificare il tasso di sfruttamento. In questa missione, la socialdemocrazia svolge un ruolo fondamentale: il ruolo di pompiere che cerca di spegnere il fuoco, anche prima che questo si produca.

Piccola borghesia e aristocrazia operaia

La socialdemocrazia, come organizzazione principale del riformismo piccolo-borghese, per preservare il sostegno della sua base sociale e degli strati medi che condividono con il piccolo-borghese l'autonomia nel lavoro, la direzione concreta di gruppi di lavoratori e lavoratrici e una certa distanza dalle macchine, mantiene una politica tendente a isolare questi gruppi dal movimento operaio e impedire la formazione di un fronte operaio e popolare, egemonizzato dal proletariato attraverso la sua avanguardia politica, che potrebbe costituirsi in alternativa rivoluzionaria al capitalismo.

In questo campo, le politiche socialdemocratiche sono nel solco del sostegno alla piccola borghesia con fondi pubblici come le esenzioni dai pagamenti alla sicurezza sociale, cercando di alleviare, senza successo, la situazione del piccolo produttore contro la grande produzione. Nel campo sindacale, favorendo gli strati medi contro la maggioranza dei lavoratori, promuovendo migliori condizioni lavorative, economiche e sociali per questi gruppi. Questi settori sono stati la vecchia base della politica riformista borghese degli anni dello "Stato Sociale", favoriti contro una massa operaia condannata a condizioni di sfruttamento estremo e privi di qualsiasi sostegno sindacale. Tutto questo ha avuto come effetto il peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro della maggioranza proletaria, l'intensificazione dello sfruttamento e, inoltre, il loro crescente isolamento dal resto delle classi e settori popolari.

Tuttavia, la crisi capitalista ha duramente colpito gli strati medi e la piccola borghesia, che vedono peggiorare le loro condizioni di vita e di lavoro come conseguenza dello sviluppo delle contraddizioni capitaliste, evidenziandosi anche per questi gruppi il fallimento del riformismo. Allo stesso tempo, la socialdemocrazia estende l'ideologia piccolo-borghese dei "cittadini", tutti e tutte uguali nei diritti di fronte alla legge, ignorando le differenze di classe, la posizione di ogni individuo nei confronti della proprietà dei mezzi di produzione e del lavoro, influenzando nei mezzi operai per disinnescare la lotta di classe, proprio tra coloro che soffrono di più lo sfruttamento e più necessitano di assumere il loro ruolo storico come classe rivoluzionaria. [19]

Allo stesso modo, è essenziale il ruolo svolto dall'aristocrazia operaia nel mantenimento della socialdemocrazia e nel rafforzamento e diffusione del revisionismo all'interno del movimento operaio. La compagna Eleni Mpellou [20] offre la seguente analisi di questo fenomeno:

"Naturalmente, ciò che avviene a livello di coscienza, in questo caso il revisionismo, è un riflesso degli avvenimenti socioeconomici, settori della classe operaia nei paesi capitalisti avanzati hanno goduto di salari più alti e migliori condizioni di vita grazie al plusvalore extra che il capitale otteneva nei loro paesi, prendendo ad esempio il monopolio del commercio estero (Gran Bretagna fino alla fine del XIX secolo) e la capacità di sfruttare materie prime e manodopera a basso costo nelle società meno sviluppate. I figli di queste sezioni della classe operaia e dell'aristocrazia operaia nel movimento sindacale e politico hanno assorbito la propaganda borghese attraverso il sistema educativo e sono stati incorporati nei meccanismi ampliati dello Stato - nei "servizi" dello Stato borghese (istruzione , assistenza, sanità) o puramente amministrativi (uffici fiscali, amministrazioni locali, salvaguardia della proprietà statale, ecc.) o in imprese pubbliche o semi-pubbliche (banche, servizi pubblici, energia, acqua, telecomunicazioni, turismo, ecc.)

L'acquisizione di settori della classe operaia e la loro incorporazione in settori dinamici dell'industria capitalistica è stata ottenuta in combinazione con la corruzione estesa di scienziati che avevano radici operaie; così possiamo vedere che l'espansione della base sociale dell'opportunismo e il rafforzamento del revisionismo sono fenomeni interconnessi. La capacità delle forze politiche borghesi di guadagnare ampi settori della classe operaia serviva all'obiettivo politico di corrompere il movimento operaio, di distrarlo dal suo obiettivo strategico della rivoluzione socialista in Europa e, più in generale, nel mondo capitalista sviluppato, incluso nelle migliori condizioni nei rapporti di forza del socialismo dopo la fine della II Guerra mondiale".

La "sinistra socialdemocratica", i revisionisti e il movimento comunista.

La socialdemocrazia si trasformò, anche, in un attivo partecipante nella lotta di classe internazionale contro il campo socialista. Il ruolo che dovevano svolgere i partiti socialdemocratici era quello di indebolire i partiti comunisti, organizzare e costruire un movimento operaio e sindacale non comunista. Al fianco di altri partiti furiosamente anticomunisti - i trotskisti-, la missione assegnata da parte dell'imperialismo era ben chiara: la frammentazione del movimento operaio, rafforzare la tendenza riformista anticomunista e evitare lo sviluppo della lotta di classe nei paesi capitalisti, così come prestare aiuto politico, economico e di qualsiasi altro tipo ai movimenti controrivoluzionari in via di sviluppo nei paesi che attivamente costruivano il socialismo. La CIA aveva un elenco per questi partiti: "sinistra non comunista" che riceveva parecchio supporto politico, logistico ed economico.

Accanto al ruolo apertamente ostile e controrivoluzionario rispetto ai paesi socialisti, la socialdemocrazia ha inoltre storicamente svolto un ruolo di penetrazione politica dei partiti comunisti. Già prima della II Guerra mondiale, la socialdemocrazia ha cercato appoggi all'interno del movimento comunista per raggiungere accordi che legassero questi partiti alle politiche borghesi. Ma sarà successivamente, nell'immediato dopoguerra, quando sorgeranno potenti tendenze riformiste all'interno dei partiti comunisti che si cristallizzarono nel cosiddetto "eurocomunismo". Questo processo fu reso possibile nella misura in cui il movimento comunista internazionale, intrappolato nella finzione dell'esistenza di una fase intermedia, democratica e antimonopolista, tra il capitalismo monopolistico e il socialismo, subordinò la sua strategia a una alleanza parlamentare con la socialdemocrazia che, alla lunga, ebbe gravi conseguenze per la classe operaia e per il movimento comunista internazionale, che incontrò immense difficoltà per definire una strategia rivoluzionaria nelle nuove condizioni sorte dal dopoguerra.

Tali tendenze revisioniste, completamente trionfanti nella maggior parte dei partiti dell'Europa occidentale, avevano la stessa base sociale della vecchia socialdemocrazia e seguirono lo stesso cammino che in precedenza avevano percorso i partiti socialdemocratici. Rappresentavano, come riflesso, gli interessi della piccola borghesia e dei ceti medi, dell'aristocrazia operaia e dei settori della burocrazia sindacale. Giunsero alla conclusione, sfacciatamente riformista, che il socialismo poteva essere costruito, in Europa, grazie ad un accordo con la socialdemocrazia di tipo parlamentare, usando esclusivamente vie legali, costituzionali, di riforma in riforma, fino a raggiungere a un punto in cui si sarebbe costruito il socialismo. Questa visione, utopica nel senso reazionario, era un vicolo cieco che si è scontrato con i suoi limiti, con il cambiamento della politica della borghesia a causa della crisi economica dello "Stato Sociale".

Il fallimento del revisionismo eurocomunista lo sopportano attualmente numerosi distaccamenti operai in tutto il mondo capitalista, specialmente dei paesi europei, dove le organizzazioni eredi dell'eurocomunismo, mantenendo in alcuni casi le sigle e la simbologia comunista o avendola abbandonata in alcuni casi, coscienti della mutazione di una socialdemocrazia convertita decenni addietro in partito borghese, aspirano ad occupare la sponda sinistra dei parlamenti borghesi, naturalmente, sempre in un alleanza contingente in un modo o nell'altro con i partiti socialdemocratici e sempre sotto la bandiera del riformismo che sventolano all'interno dei recinti del sistema.

Inoltre hanno concordato e coincidono, e non a caso, in una visione genericamente positiva dell'Unione europea, progetto imperialista dell'oligarchia dei paesi che la costituiscono. Vogliono convertirsi nel partito della "sinistra" omologabile a queste istituzioni, accettando i principi fondamentali della costruzione europea, le regole anti-democratiche e anti-operaie del suo funzionamento e della sua politica monetaria e economica a senso unico , il ricatto al quale sottomettono i popoli d'Europa nella crisi capitalista e, in ultima analisi, le politiche imposte di volta in volta da parte della borghesia.

Oggi questi partiti opportunisti, organizzati nel Partito della Sinistra Europea, sono un ostacolo allo sviluppo della lotta di classe, si interpongono come deterrente allo sviluppo delle posizioni di classe, della coscienza di classe; sono, in definitiva, alleati naturali della socialdemocrazia, sono la loro attuale ala sinistra, adempiendo il compito di introdurre l'ideologia riformista e piccolo-borghese all'interno del campo operaio, di sostenere una falsa pace sociale che assicuri un quadro politico alle misure anti-operaie che il capitale necessita per mantenere il suo tasso di profitto e salvare la situazione.

Alcune considerazioni finali.

Parte della base sociale della socialdemocrazia, e anche del revisionismo, la costituiscono i settori operai di bassa coscienza di classe che si sommano alla lotta per la difesa dei loro interessi immediati di fronte all'aggressione crescente del capitale. Quando questi settori, con poca preparazione politica e senza coscienza di classe, si aggiungono alle lotte che deve attivare la classe per difendere i suoi interessi lo fanno, necessariamente, da un certo punto di vista ideologico.

In effetti, il fatto che tali settori operai non possiedano coscienza di classe per sé non annulla il fatto che posseggono, come ogni persona, una visione del mondo, ideologica, che permette loro di inserirsi nella società. Questa visione del mondo, che non proviene interamente da posizioni di classe, deve necessariamente provenire dal loro avversario, se siamo d'accordo con Marx che nelle società divise in classe l'ideologia dominante è l'ideologia della classe dominante.

La loro visione del mondo, la loro ideologia, quindi, se non è proletaria tenderà a essere necessariamente borghese o piccolo-borghese. Si tratterà di specifici adattamenti alle condizioni di vita della classe operaia delle ideologie proprie della borghesia e piccola borghesia, e la più adeguata storicamente a queste funzioni è precisamente, l'ideologia "economicista", riformista, che propugnano i sindacati e i partiti socialdemocratici e anche i partiti opportunisti del PSE e simili. Questa ideologia si adegua alle condizioni operaie, ma lo fa dal punto di vista borghese, per difendere piccoli cambiamenti all'interno del capitalismo in grado di migliorare o alleviare le attuali condizioni a cui è sottoposto il proletariato.

Allo stesso modo, e di senso apparentemente inverso, potremmo considerare l'ideologia utopico-rivoluzionaria che, nonostante il suo presunto rivoluzionarismo, si mostra impotente a dirigere la lotta rivoluzionaria e termina per preconizzare misure che, se possibili, apporterebbero unicamente piccoli cambiamenti mantenendo l'essenza dello sfruttamento capitalista.

La missione della socialdemocrazia e delle sue centrali sindacali nel campo operaio, è di impedire che questa posizione, che è una fase oggettiva nello sviluppo della coscienza di tali settori, evolva verso l'assunzione di una posizione ideologica nettamente proletaria, sotto la lente del marxismo-leninismo, e tenda al conflitto con il capitalismo, verso il suo superamento rivoluzionario.

Pertanto, oltre l'esistenza dei settori sociali di cui sopra - la piccola borghesia e gli strati medi - all'interno del movimento operaio i settori poco coscienti, i più arretrati, possono anch'essi essere una base di supporto al revisionismo in generale e alla socialdemocrazia in particolare.

Come partiti comunisti ci vediamo obbligati a lottare con queste posizioni e lo saremo, sotto parecchie diverse condizioni politiche, sociali e economiche, fino al superamento stesso del conflitto di classe, fino alla tappa superiore e ultima del socialismo-comunismo. In queste diverse condizioni, il riformismo assumerà distinte posizioni politiche ma, in sostanza, cercherà di adattare il movimento operaio alle posizioni del suo nemico di classe, facendo si che accetti il campo di battaglia e le forme di lotta che considera valide il suo nemico e negando la necessità di superare il sistema capitalista generatore delle contraddizioni che lo mantengono in posizione subordinata. [21]

La missione principale dei partiti comunisti in questo campo, in generale nell'azione sindacale, è elevare questa coscienza economica, che non supera il capitalismo verso una coscienza politica rivoluzionaria, in modo che questi settori abbandonino le tesi ideologiche della piccola borghesia (oltre a quelle sopra citate possiamo menzionare l'idea che lo Stato è neutrale nella lotta di classe, la cui legittimità è sacra e che tutte le disposizioni di legge si compiono, l'idea dell'indipendenza del potere giudiziario, della separazione dei poteri e altre ingenuità piccolo-borghesi che rallentano oggettivamente la lotta di classe), e abbracciano le tesi ideologiche proprie della loro classe. Questo è possibile, proprio perché l'ideologia proletaria marxista-leninista non è altro che il riflesso, nel terreno della soggettività, delle condizioni economiche che soffrono gli sfruttati. In altre parole, ogni tentativo a livello sociale, di provare la stessa cosa con settori non proletari è destinato al fallimento, indipendentemente dal fatto che individualmente molti membri della piccola borghesia e degli strati intermedi si avvicinano alla classe operaia e adottano inoltre la loro visione del mondo di fronte allo sviluppo delle contraddizioni capitaliste .

Il movimento comunista è obbligato a imparare dai propri errori, le condizioni in cui la crisi capitalista pone la lotta di classe esige un attacco frontale contro le posizioni d'integrazione che propugna la socialdemocrazia e il revisionismo tra le file operaie. L'indipendenza ideologica, politica e organizzativa della classe operaia deve essere difesa con fermezza, senza compromessi:

"Adesso il popolo, gli impiegati e operai, i piccoli commercianti e autonomi devono scrivere le proprie pagine nella storia del paese e scriverle letteralmente in maiuscolo e in grassetto. La loro rabbia deve diventare forza di contrattacco fino alla fine. Non c'è altro cammino ... la barbarie non si umanizza." [22]


[1] "Le premesse del socialismo e i compiti della socialdemocrazia", raccolta di articoli Rivista Neue Zeit, 1897-1898.

[2] V.I. Lenin, "Marxismo e revisionismo". Opere Complete, Volume 17, pagina 24. Ed. Progresso, Mosca, 1983. 

[3] Idem., pagine 19 e 20.

[4] Idem., pagine 20 e 21.

[5] Idem., pagina 22.

[6] V.I. Lenin, "Chi ha troppa fretta si copre di ridicolo" Opere Complete, Volume 20, pagina 303. Ed Riuniti, Roma, 1966.

[7] V.I. Lenin, "Il fallimento della II Internazionale"- Contro il revisionismo, Ed. Progress, Mosca, 1980, pagina 259-260.

[8] V.I. Lenin, "Marx, Engels e il marxismo". Edizioni in Lingue Straniere, Mosca, 1947, pag. 237-238.

[9] Enrique Lister Lopez. "Leninismo e opportunismo". Edizioni PCOE, Madrid, 1976, pag. 21-22.

[10] V.I. Lenin, "Marxismo e riformismo". Opere Complete, Volume 24, pagina 1. Ed Progresso, Mosca, 1984.

[11] V.I. Lenin. "La situazione e i compiti dell'Internazionale Socialista". Contro il revisionismo, Ed. Progresso, Mosca, 1980, pagina 209.

[12] V.I. Lenin, "Il fallimento della II Internazionale". Contro il revisionismo, Ed. Progresso, Mosca, 1980, pagina 238.

[13] Idem., pagina 260.

[14] Idem., pagina 268.

[15] Idem., pagina 268.

[16] Oggi, con la necessaria prospettiva e quando già non vi è alcun dubbio del carattere borghese e imperialista di molte sezioni della socialdemocrazia durante lo sviluppo della seconda guerra mondiale, il movimento comunista deve analizzare rigorosamente la politica del fronte unico del proletariato con i partiti socialdemocratici adottata dal VII congresso del I.C., in quanto ha comportato una serie di conseguenze successive di indubbia importanza per il movimento comunista internazionale.

[17] I legami di distaccati quadri socialdemocratici con l'oligarchia si sono approfonditi da allora. Ad esempio, è sufficiente rilevare la partecipazione dell'ex presidente spagnolo Felipe Gonzalez - ex Segretario Generale del PSOE - nel noto "Incontro padri e figli", una iniziativa privata che riunisce gli imprenditori di tutta l'America Latina e il loro eredi per condividere "le ricette del successo nel mondo degli affari" e parlare dei "temi sociali che riguardano il mondo". Tra gli oligarchi partecipanti troviamo, tra gli altri, Carlos Slim, il secondo uomo più ricco del mondo, il magnate colombiano Julio Mario Santo Domingo; l'imprendotre venezuelano Gustavo Cisneros; gli argentini Paolo Rocca, Federico Braun e Alfredo Roman; i cileni Andronico Lucksia e Alvaro Saieh e i brasiliani Joao Roberto Marinho, David Feffer e Antonio Moreiras. (Diario Pùblico, Madrid, 08/03/2009, notizia agenzia EFE).

[18] Programma di base del SPD. Bonn, 1959, pagine 5-17.

[19] Per quanto riguarda alcuni movimenti che come il conosciuto 15-M o movimento indignados in nessun caso si va oltre gli approcci socialdemocratici, rimettiamo alla Dichiarazione del Comitato Esecutivo del PCPE sulle mobilitazioni iniziate il 15 M, del 19 maggio 2011, che si può consultare in http://www.pcpe.es/comunicados/item/268-sobre-las-movilizaciones-iniciadas-el-15-m.html - tradotto in italiano http://www.resistenze.org/sito/te/po/sp/pospbe23-009054.htm

[20] Membro dell'Ufficio Politico del Partito Comunista di Grecia. Citazione dall'articolo "Riflessioni su una nuova Internazionale. L'internazionalismo nella teoria marxista ", scritta su richiesta del Partito Comunista Turco per un'attività organizzata dal Centro di Ricerca Marxista. Pubblicato sulla rivista teorica del KKE (Komunistitiki Epitheorisi, secondo numero del 2010). Traduzione al castigliano del Dipartimento internazionale del CC del PCPE.

[21] Il Presidente del Congresso spagnolo e dirigente del PSOE, José Bono, ha dichiarato pubblicamente che la "lotta di classe" nel XXI secolo è "una milonga" che "non fa scuola più nemmeno in Cina", che l'occupazione oggi devono crearla "fondamentalmente" gli imprenditori con l'"aiuto" delle amministrazioni perciò, sottolinea che il PSOE non farà campagna "contro coloro che creano ricchezza e posti di lavoro". Dichiarazioni riportate dai mezzi di comunicazioni spagnoli il 9 maggio 2011, EUROPRESS.

[22] Discorso della compagna Aleka Papariga, Segretario Generale del KKE, davanti a migliaia di lavoratori e lavoratrici, l'11 maggio 2011. Traduzione dall'inglese dell'Area Internazionale del CC del PCPE