Da anni la regione è scossa da gravi problemi che ne affliggono lo sviluppo, come l’occupazione della Palestina da parte di Israele, il permanere dell’occupazione del 40% di Cipro da parte della Turchia, la “indipendizzazione” del Kosovo, le conseguenze dell’occupazione dell’Iraq da parte degli USA, l’occupazione di territori siriani e libanesi da parte di Israele, gli sviluppi in Iran dove coesistono la ricerca di un compromesso sulle armi nucleari e le minacce degli Stati Uniti e di Israele.
Nei Balcani e nel Mediterraneo orientale vivono una moltitudine di nazionalità e religioni, minoranze nazionali e religiose con forme e organizzazioni sociali pre-capitaliste negli stati esistenti. Naturalmente queste contraddizioni, che non sono state “assorbite” dallo sviluppo capitalistico, si riflettono anche nella sovrastruttura, nella relativa arretratezza della formazione di un sistema politico borghese rappresentativo. Ciò facilita la politica del “divide et impera”, la politica di agitazione delle questioni relative alle minoranze e ai confini creati dagli imperialisti per promuovere i loro piani. Questa situazione è utilizzata dalla borghesia anche per intrappolare i lavoratori nel recinto del nazionalismo e dell’espansionismo[6]. È vero che i cambiamenti dei confini, la frammentazione degli Stati non si fanno senza spargimento di sangue, senza il coinvolgimento degli interessi imperialistici antagonisti. Lo slogan che i manifestanti lanciano nei cortei antimperialisti in Grecia “Gli imperialisti si ripartiscono i nuovi territori e tracciano i confini con il sangue dei popoli” cattura la verità[7].
In questi casi le posizioni e le analisi di KKE sono ben noti. Per questo motivo ci concentriamo sugli ultimi argomenti.
Uno di questi è la “primavera araba”, come si sono caratterizzati gli eventi in Egitto e Tunisia, dove c’è una combinazione di fattori interni ed esterni, dove quelli interni sono predominanti. Questi hanno a che fare con l’attività di settori della borghesia, delle classi medie, che sono più coinvolti, e dei giovani in cerca di modernizzazione della base economica e di adeguamento del sistema politico parlamentare borghese all’economia capitalista sviluppata. Questo obiettivo mobilita anche le forze operaie.
Spesso, nuovi o vecchi settori della borghesia si intersecano con nuovi o vecchi alleati stranieri. Così questi sviluppi – la mobilitazioni, gli scontri –sono legati all’intervento dei grandi Stati imperialisti per un controllo più efficace della regione. In ogni caso, i piani degli Stati Uniti sul controllo del cosiddetto “Grande Medio Oriente” non sono noti.
Abbiamo visto che negli ultimi tre anni sotto l’influenza dell’acutizzarsi dei problemi popolari, da principio si organizzano grandi mobilitazioni operaie e popolari, sollevazioni in Tunisia prima e in Egitto poi, in cui le richieste di base sono state: affrontare la povertà, la disoccupazione, la corruzione, l’espansione dei diritti e le libertà democratiche, l’eliminazione dei regimi autoritari di Ben Ali e di Mubarak, i cui partiti erano membri dell’Internazionale socialista. Di conseguenza, in un primo momento, salirono al potere le forze del cosiddetto “Islam politico”, mentre in Egitto queste forze (“Fratelli Musulmani” col presidente Morsi) furono violentemente estromesse dal governo del paese dopo il colpo di stato militare, che ha approfittato delle condizioni che si erano formate con queste manifestazioni organizzate dalle forze borghesi e piccolo-borghesi, liberali e socialdemocratiche, che si erano temporaneamente riunite sotto l’“ombrello” della “laicità”. Sia nel primo che nel secondo caso, questi cambiamenti al vertice della sovrastruttura politica sono stati definiti arbitrariamente “rivoluzione”, il che ovviamente non corrisponde al vero, e questo lo dimostrano per i più scettici gli eventi dell’ultimo periodo.
È stato dimostrato che le lotte delle forze popolari contro la disoccupazione, la povertà, l’indigenza, la repressione di Stato, la corruzione, il saccheggio delle risorse naturali dei loro paesi da parte dei monopoli nazionali e stranieri, quando si limitano esclusivamente al rovesciamento di governi antipopolari e alla rivendicazione di diritti democratici e borghesi non ottengono il risultato sperato dal popolo. Ben presto le aspettative del popolo sono state negate dalle forze politiche che hanno prevalso nella cosiddetta primavera araba. Gli interessi popolari non possono essere soddisfatti né da parte del governo Morsi né dai Fratelli Musulmani, che hanno imposto una politica anti-operaia di sostegno dei monopoli, né dalla sezione della borghesia che ha sostenuto il colpo di stato militare e ha eletto come presidente della Repubblica il generale Sisi.
La crisi del sistema politico borghese in Egitto è anche collegata con gli antagonismi dei centri imperialisti per assicurarsi le risorse naturali della regione e le reti di trasporto energetiche.
La borghesia dell’Egitto ha soluzioni alternative per salvaguardare i propri interessi; la carta dell’esercito e i cosiddetti movimenti religiosi sono alcuni tra essi. È necessario che la classe operaia, gli strati popolari poveri non si limitino solo a mandare via questo o quel governo, che non siano impelagati in soluzioni temporanee volte a preparare il prossimo governo antipopolare.
Gli eventi dimostrano che, quando la classe operaia non ha un Partito Comunista strategicamente indipendente dalla borghesia, il malcontento e la protesta popolare alla fine entrano a far parte dei progetti di riforma del sistema politico borghese.
Da più di tre anni si sta sviluppando un intervento imperialista in Siria, chiaramente legato agli altri sviluppi nella regione, come l’intervento della NATO e gli eventi in fase di sviluppo in Libia, così come in Iraq. È chiaro che gli eventi in Siria hanno le loro radici nel Paese, dal momento che la Siria è sulla strada dello sviluppo capitalistico e quindi da ciò derivano i problemi economici, sociali e politici che stanno di fronte alla classe operaia e agli altri settori popolari. Si tratta di problemi che sono peggiorati negli ultimi anni prima dell’intervento imperialista, a causa della politica di privatizzazione, riduzione dei diritti dei lavoratori e del popolo e degli stipendi, che è stata portata avanti a favore della borghesia nazionale.
Accanto alle reazioni popolari alle misure antipopolari, si è sviluppato l’aperto intervento imperialista da parte degli Stati Uniti, Unione europea, Israele, Turchia, Arabia Saudita, Qatar etc. Ovviamente qualcuna delle potenze imperialiste è interessata a destabilizzare e indebolire le forze politiche borghesi dominanti del regime borghese siriano, che ha stretti rapporti con la Russia e che per proprie ragioni è entrato in conflitto con il “più fedele alleato” degli Stati Uniti nella regione, Israele, ed è alleato di altre forze che in Palestina, in Libano, lottano contro i vari piani imperialisti.
L’indebolimento delle forze guidate dal presidente Assad, magari fino al suo rovesciamento, facilita i piani imperialisti di un attacco contro l’Iran col pretesto del suo programma nucleare. Ciò può anche portare a nuovi smembramenti degli stati della regione e a un domino di destabilizzazioni e spargimento di sangue, che porterà nuove guerre e interventi imperialisti.
Facendo una breve rassegna storica, possiamo valutare che dopo la seconda guerra mondiale, grazie all’influenza dell’URSS, al suo contributo alla Vittoria Antifascista, alla superiorità del socialismo in termini di ricostruzione del Paese, alla formazione dei regimi socialisti in Europa dell’est, al crollo del colonialismo, si sono sviluppati processi positivi nei rapporti di forze internazionali. Naturalmente questi processi sono stati sopravvalutati dal movimento comunista, perché il sistema imperialista internazionale è rimasto forte e subito dopo la fine della guerra l’imperialismo, sotto l’egemonia statunitense, ha dato inizio alla “guerra fredda” e ha sviluppato un strategia per minare il sistema socialista e riorganizzare le proprie forze.
A quel tempo in un certo numero di paesi, come la Siria, prevalse la questione della conquista dell’indipendenza nazionale come prima condizione per superare il ritardo che dominava in tutti i settori della vita sociale. L’URSS e gli altri Stati socialisti hanno sviluppato una politica di cooperazione economica e di sostegno ai nuovi regimi, tra i quali la Siria, affinché non fossero assorbiti nel mercato capitalista internazionale, nelle unioni imperialiste, per rafforzare le forze all’interno del governo che si posizionavano a favore dell’”orientamento socialista”.
Questo sforzo dell’Unione Sovietica, di sviluppare rapporti economici e anche alleanze con alcuni stati capitalisti contro forti potenze imperialiste, era legittimo e comprensibile, dal momento che indeboliva il fronte unito delle forze imperialiste, almeno temporaneamente, utilizzando le contraddizioni nel campo imperialista.
I problemi sono sorti quando l’opzione contingente dell’URSS (come Stato), con le sue azioni di natura economica, diplomatica e quant’altro, è assurta a principio teorico, arrivando a parlare di “percorso di sviluppo non capitalista” in alcuni paesi, vincolando tali paesi all’idea che fosse possibile una transizione pacifica al socialismo. Questo ha portato le forze comuniste e di conseguenza il movimento operaio a diventare stampella delle forze borghesi.
Infatti, anche oggi alcuni interpretano male le parole di Lenin che «il capitalismo monopolistico di Stato è la preparazione materiale più completa del socialismo, è la sua anticamera, è quel gradino della scala storica che nessun gradino intermedio separa dal gradino chiamato socialismo »[8] per giustificare il sostegno attivo e la partecipazione dei comunisti alla gestione borghese. Anche se queste persone interpretano il capitalismo monopolistico di Stato meramente come l’esistenza di un settore statale forte nell’economia e non come l’imperialismo, fase suprema del capitalismo, come lo aveva descritto Lenin, va sottolineato ancor di più che Lenin non ha mai chiamato i comunisti a contribuire da posizioni di governo o da altre posizioni alla gestione e al rafforzamento del capitalismo monopolista statale. Coloro che invocano questa frase particolare di Lenin per giustificare la loro partecipazione ai governi borghesi di “sinistra”, “patriottici”, ecc., l’hanno intesa in modo errato. Poche righe prima di questo passaggio, Lenin aveva scritto che «la guerra imperialista è la vigilia della rivoluzione socialista»[9]; tuttavia, questo non significa che i comunisti devono vedere con favore la guerra imperialista, o partecipare a questa parte della borghesia del proprio paese. Storicamente Lenin è stato colui che ha rialzato la bandiera dell’internazionalismo proletario contro la partecipazione alla Prima Guerra Mondiale imperialista, una bandiera che era stata abbandonata dalla Seconda Internazionale.
Cosicché l’errata distinzione tra una sezione della borghesia “patriottica” e una sezione “asservita agli stranieri”, la partecipazione a governi borghesi possono portare il partito comunista e i lavoratori a lottare sotto una “bandiera altrui”. Lenin aveva avvertito di questo pericolo[10]. Inoltre la pratica ha dimostrato che non esiste una “terza via verso il socialismo”, così come non ci sono tappe intermedie tra il capitalismo e il socialismo. Questo si vede anche nel caso della Siria.
Segnaliamo questi punti, perché riteniamo necessario chiarire che la posizione del KKE contro l’intervento imperialista in Siria non significa una identificazione con il regime di Assad, né tantomeno la nostra opposizione a un attacco imperialista contro l’Iran significa che rinunciamo all’opposizione del nostro partito al regime borghese di questo paese.
Da comunisti ribadiamo la nostra posizione di rottura con le opzioni e i piani della borghesia del nostro paese, come la partecipazione della Grecia alla guerra imperialista. La nostra opposizione alla guerra imperialista, l’organizzazione della lotta del popolo contro il coinvolgimento del paese, contro l’uso del territorio, dei mari e dello spazio aereo del nostro paese come punto di partenza per l’attacco a un altro popolo, oggi è una questione cruciale, che ci dà la possibilità di mettere all’ordine del giorno la questione del potere, chiamando il popolo greco e gli altri popoli della nostra regione a organizzarsi per rovesciare la barbarie capitalista che porta alla guerra.
Inoltre, ci rendiamo conto che il movimento operaio rivoluzionario in Siria non può essere indifferente all’intervento imperialista straniero, che attualmente incombe sul paese, o per quanto riguarda i piani di occupazione e lo smembramento della Siria; non è possibile che non sia coinvolto nella resistenza contro l’intervento imperialista. Da questo punto di vista, esprimiamo la nostra solidarietà con la resistenza del popolo siriano contro l’intervento imperialista straniero e, allo stesso tempo, crediamo che questo possa avere un esito positivo solo se legata alla lotta per una patria libera dai capitalisti, fuori dalle coalizioni imperialiste, una patria in cui la classe operaia possieda la ricchezza prodotta, in cui la classe operaia è al potere.
Gli ultimi avvenimenti in Iraq, con le attività del cosiddetto Stato Islamico (SI), che è stato sostenuto dall’Arabia Saudita, dalla Turchia e, naturalmente, dagli Stati Uniti e da altre potenze in vari modi al fine di promuovere i propri interessi nella regione, possono fungere da catalizzatore per futuri sviluppi, non solo perché in grado di fornire il pretesto agli imperialisti per un nuovo intervento militare nella regione, ma anche perché per la prima volta dopo decenni stanno spianando la strada a un possibile cambiamento, temporaneo o permanente, nelle “alleanze” nella regione e una gestione diversa da parte di USA e UE, della borghesia iraniana e forse anche siriana. La posizione del movimento operaio e popolare anche in questo caso non può essere di supporto agli imperialisti contro gli oscurantisti “pupazzi”, che essi stessi hanno creato. Ciò che occorre è emancipare il movimento operaio dai piani borghesi-imperialisti nella regione, elaborare e tracciare la propria strategia, che però è reso difficile dalla mancanza in Iraq di un partito comunista forte con una strategia rivoluzionaria.
Naturalmente questa conclusione è valida anche per i pericolosi sviluppi nella nostra regione, intesa in senso più vasto, come in Ucraina. Un sanguinoso conflitto è scoppiato lungo la via di sviluppo capitalistico intrapresa da questo paese, con l’intervento della UE e degli USA negli eventi ucraini in aspra concorrenza con la Russia per il controllo dei mercati, delle materie prime e delle reti di trasporto del paese.
Il rovesciamento del governo di Yanukovich non rappresenta uno “sviluppo democratico” in quanto il sostegno dell’Unione europea e degli Stati Uniti ha fatto emergere forze reazionarie, perfino fasciste, utilizzate da UE e USA per promuovere i loro obiettivi geopolitici nella regione eurasiatica.
Il KKE ha sottolineato che la soluzione per il popolo ucraino non è nell'integrazione dell'Ucraina alla Russia capitalista attuale. Il tentativo di dividere il popolo ucraino su base etnica e linguistica e di portarlo ad un massacro, con incalcolabili tragiche conseguenze per questo popolo e il suo paese, per scegliere una o l'altra unione interstatale capitalista, è totalmente estraneo agli interessi dei lavoratori. Ha espresso la convinzione che il popolo lavoratore dell'Ucraina deve organizzare la propria lotta indipendente, sulla base dei propri interessi e non in accordo a quale imperialista viene scelto da una o l'altra sezione della plutocrazia ucraina. Tracciare il cammino per il socialismo, che è l'unica soluzione alternativa ai vicoli ciechi della via di sviluppo capitalista. In ogni caso, il popolo ucraino ha sperimentato cosa significa il socialismo. In gran parte rimpiange le enormi conquiste sociali a disposizione della classe operaia e degli altri settori popolari.
Il KKE ha chiesto che il nostro paese non abbia alcun coinvolgimento, nessuna implicazione nei piani imperialisti della NATO, degli USA e dell'UE in Ucraina. Ha sottolineato che la crisi capitalista e le guerre imperialiste vanno di pari passo e il nostro popolo non ha alcun interesse nella partecipazione della Grecia a questi piani.