La lotta del KKE contro l’opportunismo. L’esperienza degli anni 1949-1968


Makis Mailis, membro del CC del Partito Comunista Greco

Il secondo volume del “Saggio di Storia del KKE” è stato pubblicato in Grecia nel novembre 2011, dopo la sua discussione, durata vari mesi, in tutte le organizzazioni del Partito e della Gioventù Comunista di Grecia. L’intero processo si è concluso  con la Conferenza Nazionale del 16 Luglio 2011, che ne approvò il testo definitivo.

Il secondo volume comprende il periodo 1949-1968, dalla fine della lotta armata condotta per tre anni e mezzo (12 febbraio 1946-29 agosto 1949) dall’Esercito Democratico di Grecia fino al 12° Plenum del Comitato Centrale del KKE (5-15 febbraio 1968), nel quale il KKE si scisse Gli scissionisti, che già avevano costituito un gruppo revisionista (eurocomunista), fondarono un nuovo partito con il nome di “KKE dell’interno”.

Benché il  Saggio tratti il periodo 1949-1968, esso affronta anche gli anni '40, poiché i documenti del partito nel periodo esaminato fanno ampio riferimento agli anni '40, in quanto l'elaborazione della politica del partito nelle nuove condizioni richiedeva che venissero tratte le conclusioni circa il periodo precedente.

Le controrivoluzioni, culminate nel 1989-1991, obbligarono il nostro Partito ad esaminare più profondamente la sua azione e la sua storia. La realtà oggettiva ci costrinse ad una più profonda valutazione storica delle scelte e delle azioni del KKE alla luce delle conclusioni fondamentali, tratte dagli sviluppi negativi sovra menzionati, inserite nelle risoluzioni dei Congressi dell’ultimo ventennio, particolarmente del 18° Congresso (2009).

Il KKE ritiene che lo studio della propria storia sia un elemento necessario al suo sviluppo, dal momento che l’esperienza storica rende più incisiva ed efficace l’azione del Partito nell’organizzazione della lotta di classe per l’abolizione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. In questo senso lo studio della storia del partito diventa procedimento di ispirazione per l’azione cosciente.

La questione più importante, affrontata dal Saggio, è quella che riguarda la strategia del KKE. I criteri di valutazione vertono sui seguenti assi:

1. La nostra epoca, è l’epoca della transizione dal capitalismo al socialismo, poiché il capitalismo è entrato nella sua fase reazionaria da oltre un secolo. E’ passata irreversibilmente l’era delle rivoluzioni democratico borghesi che diedero impulso al progresso sociale rovesciando il potere dei feudatari abolendo i residui dei rapporti di produzione feudali. Il rovesciamento dell’edificazione socialista e il predominio della controrivoluzione del 1989-1991 non contraddicono la necessarietà, l'attualità e la prospettiva di  questo atto socio-politico rivoluzionario.

2. Il carattere della rivoluzione  non si definisce sulla base dei rapporti di forza esistenti, ma sulla base della maturazione delle condizioni materiali per il socialismo. Il grado minimo indispensabile di tali condizioni sussiste  anche quando la classe operaia è percentualmente minoritaria  in quota della popolazione economicamente attiva, una volta acquisita coscienza della propria missione storica con la costituzione del suo Partito.

3. Tra il capitalismo e il socialismo non vi è alcun altro sistema socio-economico intermedio, quindi non può esistere nessun altro tipo di potere intermedio. Il carattere del potere sarà o borghese, o operaio (proletario). L’opinione-posizione circa la possibilità e la necessità di instaurare un potere intermedio non è stata confermata in nessun paese. Tale questione è stata discussa al 18° Congresso del KKE sottolineando che non si deve confondere il carattere del potere  con i “momenti” di transizione del tempo storico e  ribadendo la posizione programmatica del 15° Congresso sui “momenti” transitori : “In condizioni di intensificazione della lotta di classe e di ascesa del movimento popolare, quando il processo rivoluzionario è avviato, può instaurarsi un governo come strumento del potere popolare, avente l’assenso e il consenso del popolo in lotta, senza elezioni generali o procedure parlamentari. Questo governo coinciderà, o ne sarà solo formalmente separato, col potere della classe operaia e dei suoi alleati(…) Per il nostro partito è chiaro che il carattere del potere è la Dittatura del Proletariato senza farsi confondere dalle forme intermedie di potere. E’ un'altra questione constatare a posteriori, cioè attraverso la ricerca storica,  la varietà di forme che possono emergere dal  processo, quando il potere borghese non è stato ancora rovesciato, ma è già indebolito e vacillante. L’individuazione delle forme che il grado di indebolimento del potere borghese assume in ogni periodo storico è un problema di ricerca storica. Ad esempio, i primi governi formati dai fronti antifascisti nei paesi liberati dall’Armata Rossa non furono poteri operai rivoluzionari (Dittatura del Proletariato); in essi parteciparono anche forze borghesi. Per questo la lotta circa la questione di “chi domina chi” si sviluppò velocemente. Nella maggior parte dei casi,  la questione si è risolta con la conquista del potere operaio rivoluzionario (Dittatura del Proletariato). Questo corso non deve essere staccato dalla presenza delle forze dell’Armata Rossa. (…) Nel caso della Rivoluzione Cubana non ci sono né potere né formazione socio-economica intermedi. L'innesco del processo rivoluzionario fu la lotta armata per l'indipendenza nazionale che risolse oggettivamente il problema  trasformandosi in lotta per il socialismo. (…) Neppure il “dualismo di potere” in Russia conferma la tesi del potere intermedio” [1].

4. La politica delle alleanze dei PC deve basarsi sulla corretta valutazione degli interessi e della posizione delle forze sociali nella società capitalista per servire la linea della sottrazione degli strati popolari dall’influenza della classe borghese,  del loro compattamento  con la classe operaia con l'obiettivo del cambiamento della natura del potere e non dell'alternanza dei partiti nella governabilità borghese. Ovvero, è necessario costruire un'alleanza politico-sociale in conflitto con la dominazione economica dei monopoli, il loro potere politico e le loro unioniimperialiste. Questa è la base del rifiuto delle pressioni che spingono alla collaborazione politica con forze borghesi e opportuniste su un programma fraudolento di  “risanamento” del sistema.

5. L’opportunismo ha basi oggettive. Un importante serbatoio di opportunismo sono i ceti piccolo-borghesi,   schiacciati o distrutti dal processo di concentrazione e centralizzazione del capitale, dall'espansione dei gruppi monopolistici. Neppure la classe operaia è uniforme. E’ composta da settori con reddito diversificato e con diverse esperienze politiche e di classe, poiché cresce con la continua espansione del lavoro salariato in nuovi e vecchi settori.In particolare, va segnalato lo strato dell'aristocrazia operaia, cioè quella parte della classe venduta al sistema capitalistico, che costituisce una delle fonti principali del fenomeno opportunista in quanto veicolo della collaborazione di classe all'interno del movimento operaio. Spesso le forze opportuniste si rafforzano durante le brusche svolte della lotta di classe, sia durante la sua avanzata, che durante il suo arretramento. A causa della grande ondata controrivoluzionaria dell’ultimo ventennio, la pressione dell’ideologia borghese si è espressa attraverso la revisione generalizzata delle posizioni fondamentali dell’ideologia comunista e l'adattamento opportunista al sistema.

6. Lotta ideologica e politica implacabile all’opportunismo, indipendentemente dai suoi travestimenti, trasformazioni e adattamenti nelle varie fasi di lotta di classe e di cambiamento dei rapporti di forza. L’esperienza, positiva e negativa, dello sviluppo della posizione nei confronti delle manifestazioni di opportunismo, a volte con un'aspra lotta ideologico-politica contro di esse, altre volte attraverso la scelta di collaborazioni elettorali o a più lungo termine con esse, conferma le seguenti conclusioni: la collaborazione con l’opportunismo, cioè con quella parte del movimento comunista che ha ripudiato e revisionato i principi fondamentali, basilari, della lotta rivoluzionaria, adattandosi alla politica borghese, significa nei fatti collaborazione con la politica borghese all’interno del movimento operaio e viene usata per l'erosione e  la mutazione del Partito Comunista; perciò è sempre sostenuta fermamente dalla borghesia e dai suoi stati maggiori. La battaglia contro l’opportunismo è connessa alla contrapposizione con esso sulla direzione dell'organizzazione delle masse, sulla direzione della lotta popolare, con riguardo al contenuto delle alleanze. Questo è stato evidenziato, durante tutto il passato, dall'esperienza del KKE nel fronteggiare gli appelli opportunisti per “l’unità della sinistra”, per “l'unità sui problemi”, per “la lotta antineoliberista” e, oggi, per “l’unità delle forze anti-memorandum”, ecc..

La costruzione della strategia del KKE dopo la fine della lotta dell'Esercito Democratico di Grecia

Dopo la fine della lotta armata, nel 1946- 1949, la dirigenza del KKE, già clandestino, elaborò la politica e la strategia del Partito valutando le nuove condizioni createsi in Grecia e nel mondo, e fissò, come obiettivo strategico del partito, la lotta per la rivoluzione socialista. Questa elaborazione, che sostanzialmente iniziò sette mesi prima della fine della lotta armata, significò  l’abbandono della strategia della rivoluzione democratico-borghese, adottata molti anni prima della Seconda Guerra Mondiale, sulla base delle importanti elaborazioni dell’Internazionale Comunista. Va notato, che l’adozione dello fase democratico-borghese, tra l'altro, derivava dall’analisi della natura della borghesia greca, che il KKE valutò come classe assoggettata alle grandi potenze imperialiste, soprattutto alla Gran Bretagna e, dopo la guerra, agli USA. Il Partito riteneva che, a causa della sua natura asservita alle potenze straniere, la stessa ostacolasse lo sviluppo dell’industria pesante in Grecia e fosse responsabile delle miserabili condizioni della classe operaia e dei contadini poveri, nonché della mancata soluzione di una serie di questioni, definite democratico-borghesi (mantenimento dell’istituto della monarchia, ecc.). Riteneva che i suddetti fattori avessero come risultato la forte arretratezza della Grecia rispetto al livello di sviluppo dei paesi capitalistici dell’Europa Occidentale. In altre parole, riteneva che la classe borghese in Grecia avesse tradito la sua missione storica e che, quindi, la classe sociale emergente, cioè la classe operaia, alleata ai contadini, dovesse assumersi la responsabilità storica di portare a compimento la trasformazione democratico-borghese della società greca. In questo modo si sarebbe creato il necessario rapporto di forze per la trasformazione della rivoluzione democratico-borghese in rivoluzione socialista.

La strategia di cui sopra non solo non è stata mai confermata dai fatti, ma costituì la causa principale di seri errori durante la Resistenza Nazionale (1941-1944). Sulla sua base si sviluppò, negli anni della Seconda Guerra Mondiale, la politica dell’ “unità nazionale”. Le alleanze con le forze borghesi, che danneggiarono la lotta popolare durante e dopo l’occupazione italo-tedesca,  miravano, in collaborazione con l’imperialismo inglese, a proteggere il potere borghese, scosso negli anni in cui il Fronte di Liberazione Nazionale (EAM) era dominante in Grecia.  Nel 1944 il KKE e l’EAM parteciparono al governo cosiddetto di “Unità Nazionale”,  formatosi in Medio Oriente, dove si trovava una parte dei dirigenti dei partiti borghesi. La partecipazione a tale governo si dimostrò disastrosa per il percorso del movimento popolare, dato che, nei giorni della liberazione dai Tedeschi, in Grecia si era creata una situazione rivoluzionaria. Il nostro Partito si trovò impreparato ad elaborare un programma che combinasse la lotta di liberazione nazionale con la lotta per la conquista del potere operaio. Ne derivarono errori di estrema importanza per l’esito della lotta. Uno tra questi fu l’accordo di assegnare il comando dell’Esercito Popolare al generale inglese Scobie.

Poco tempo dopo, all'inizio di dicembre 1944, il KKE e l’EAM uscirono dal governo, poiché esso e gli inglesi pretendevano lo scioglimento dell’Esercito Popolare mentre avrebbero conservato le forze armate borghesi. Quel governo, inizialmente con l’aiuto militare inglese, sparse il sangue del popolo di Atene e del Pireo che aveva combattuto eroicamente per 33 giorni. Si formò un unico fronte borghese, che includeva i “Battaglioni di Sicurezza”, corpi armati formatisi durante l’Occupazione, operanti per conto dei Tedeschi e del governo collaborazionista e distintisi per  efferrati crimini contro il popolo. La loro formazione fu segretamente sostenuta dagli inglesi e dalle locali forze politiche ed economiche borghesi, che si erano schierate con la Gran Bretagna contro i Tedeschi e gli Italiani. 

La strategia delle tappe continuò anche dopo la guerra. L’eroica lotta armata dell’Esercito Democratico di Grecia fu condotta sulla base di quella strategia.

Il cambiamento di strategia del KKE dopo la guerra civile fu una scelta giusta, elaborata più compiutamente nel 1953, al 4° Plenum Allargato del CC del KKE, che stese il Progetto di Programma del Partito,  sottoponendolo a discussione pubblica .

Il Progetto di programma, definendo il carattere della rivoluzione come socialista, costituì un passo importante nel pensiero collettivo del  Partito. Tuttavia basò questa strategia sul cambiamento del rapporto di forze. Il seguente passaggio, cita fra le altre cose: 

“ 8. (…) insieme al fattore altrettanto decisivo del cambio dei rapporti di forza a favore del socialismo e della democrazia a livello balcanico, europeo e mondiale, dopo l’annientamento del fascismo hitleriano e del militarismo giapponese nella seconda guerra mondiale, (…) la tappa democratico-borghese della rivoluzione in Grecia è stata sostanzialmente superata. (…)   

Proprio in questo cambiamento dei rapporti di forza a livello locale, balcanico, europeo e mondiale, va individuata la corretta spiegazione dell’apparente contraddizione tra l'arretramento strutturale del paese(…) e il fatto che, sulla questione del  carattere della rivoluzione, saltiamo la fase democratico-borghese e definiamo l'imminente cambiamento sociale rivoluzionario nel nostro paese come popolare e democratico-socialista.

9. (…) Il potere che si instaurerà sarà la Democrazia Popolare, che svolgerà le funzioni della dittatura del proletariato, sarà il potere popolare democratico operaio e contadino, una forma della dittatura del proletariato”[2].

Tale analisi si basava sull'applicazione meccanicistica alle condizioni della Grecia, della posizione e dell’esperienza di alcuni paesi, quali le ex colonie della Russia zarista, che, grazie alla vittoria della rivoluzione socialista in Russia, poterono aderire all’URSS  o evitare  il potere borghese e lo sviluppo capitalistico, nonostante avessero estesi  rapporti di produzione precapitalistici.  Un esempio è il caso della Mongolia. La Grecia, però, era  una società capitalistica pienamente formata, con struttura economica e sovrastruttura corrispondenti, già dagli inizi del 20° secolo.

Il Progetto di Programma, considerando la Grecia un paese colonizzato, non riuscì ad analizzare oggettivamente il corso della sua ricostruzione capitalistica e, naturalmente, il consolidamento del potere borghese. Tutte le conseguenze della profonda crisi economica e politica in Grecia – sono state interpretate come conseguenza dell’assoggettamento agli USA, della rinuncia all’indipendenza nazionale e del tradimento della nazione. Non si individuò la scelta consapevole della borghesia greca di reggersi sulla forza repressiva dei suoi alleati stranieri per  stabilizzare a proprio favore il rapporto di forze interno. L’analisi ignorò i fattori storici dello sviluppo ineguale del capitalismo tra diversi paesi. Attribuiva, al contrario, l’influenza della relativa arretratezza all'estensione e  alla profondità della dipendenza economica, politica e militare della Grecia dalle potenze imperialiste egemoni. Il Progetto di Programma non considerava che la legge dello sviluppo capitalistico ineguale influisce sui rapporti di forza tra stati capitalistici e sulle soluzioni delle questioni di politica estera tra di loro. La disparità capitalista era attribuita al cosiddetto “tradimento della nazione” da parte della borghesia e al ruolo ostacolante delle potenze straniere.

Nonostante il Progetto di Programma avesse superato il concetto di fase democratico-borghese, esso includeva ancora la logica delle fasi, visto che indicò come tattica del KKE l’obiettivo di creare un “fronte patriottico nazionale” che unisse “le forze patriottiche del paese (…) per la formare un governo patriottico di coalizione”.[3] 

In definitiva, il tentativo, sia pure incompleto e contradditorio, della dirigenza del KKE di trarre conclusioni dalle lotte degli anni '40, venne interrotto nel 1956, subito dopo il 20° Congresso del PCUS, quando, anche nel nostro Partito, si attuò la svolta opportunista di destra avente come principale connotato il ripudio della lotta armata 1946-1949 e l’adozione  della “via parlamentare al socialismo”. Il 6° Plenum del CC (1956), convocato da sei PC (Unione Sovietica, Ungheria, Polonia, Cecoslovacchia, Romania, Bulgaria), fece decadere la dirigenza del KKE, a partire dal Segretario Generale del CC, Nikos Zachariadis.

Successivamente, le forze che presero il sopravvento nel KKE procedettero allo scioglimento delle organizzazioni clandestine di partito in Grecia e all’incorporazione di tutti i comunisti nella Sinistra Democratica Unita (EDA), un'alleanza che comprendeva elementi della socialdemocrazia che non avevano aderito al Partito Liberale borghese. Con le proprie organizzazioni di partito disciolte, la dirigenza del KKE, che si trovava nei paesi delle Democrazie Popolari, organizzò l'8° Congresso del Partito (1961).

L’8° Congresso ratificò la linea politica del KKE dal 1956 in avanti e inoltre ripropose nuovamente la strategia delle fasi, includendo tra le sue forze motrici la cosiddetta “borghesia nazionale”. In realtà, sottolineò che il cambiamento rivoluzionario avrebbe avuto luogo anche se, nel “regime di Cambiamento Nazionale Democratico”, il carattere dei rapporti di produzione non sarebbe mutato.

Sostanzialmente, l’8° Congresso ribadì  le precedenti analisi del partito circa l’esistenza di una parte della borghesia con caratteristiche patriottiche e di un'altra parte,   definita serva del capitale straniero.  Possiamo notare che la radice  della suddivisione della classe borghese tra “patriottica” e “serva del capitale straniero” si trova nelle analisi politiche del movimento comunista internazionale fin dal periodo della Seconda Guerra Mondiale.

Quella alleanza era legata alla collaborazione con uno dei due poli del sistema politico borghese contro quello cosiddetto di destra. In realtà portò alla trasformazione dell'EDA e del KKE in code del partito liberale borghese, al quale l’EDA rivolgeva continue proposte per la formazione di un “governo democratico”. Naturalmente, queste proposte venivano respinte. Questo partito, l’Unione di Centro, era solamente interessato a sottrarre parte dell’elettorato dell’EDA sulla base del dilemma “la destra o le forze democratiche?”. 

La linea politica dell’EDA cadde nella trappola. Fu significativa la decisione dell’EDA di non presentare propri candidati alle elezioni politiche del 1964 in 24 circoscrizioni elettorali per favorire i candidati del Unione di Centro. Quando quest’ultima formò il governo, continuò a mantenere il KKE fuori legge, a non riconoscere l’EAM, a non permettere il ritorno in Grecia dei profughi politici e a non rilasciare i detenuti politici comunisti condannati come spie molti anni prima!

Va notato che pochi mesi prima si svolsero le elezioni in cui il partito liberale non ottenne la maggioranza parlamentare e quindi cercò un nuovo ricorso alle urne. Allora l’EDA, dopo aver votato le dichiarazioni programmatiche del governo  provvisorio, dichiarò in  parlamento:

“ (…) l’EDA dimostra tangibilmente  l’esistenza nel presente parlamento di una sufficiente maggioranza per l’attuazione dell’ opera di governo “.[4]

Ovviamente, il sostegno parlamentare dell'EDA non fu accettato, stando alle dichiarazioni dei dirigenti del partito liberale.

D'altro lato, il cosiddetto dilemma anti-destra  fu consolidato attraverso una corrispondente  politica delle alleanze nel movimento sindacale e operaio, nonché nei movimenti dei contadini e dei ceti medi urbani. In pratica, portò al rafforzamento, con modalità più flessibili rispetto a quelle più rozze dei burocrati sindacali, di quegli schieramenti sindacali che rappresentavano gli interessi borghesi all'interno del movimento sindacale. Si configurò complessivamente un movimento operaio che, nonostante le dure e spesso eroiche lotte dei comunisti e dei loro alleati, non contribuì alla formazione di un più alto livello di coscienza politica della classe operaia.

L’orientamento nel movimento operaio e sindacale deve tener conto del fatto che la lotta ideologica, politica ed economica sono una cosa sola, che comprende  rivendicazioni economiche e d'altro genere, ma che trova piena espressione nel movimento operaio con lo sforzo di intensificare l’azione contro lo sfruttamento capitalista in quanto tale, contro i suoi rappresentanti politici e sindacali, contribuendo coerentemente alla concentrazione e alla preparazione delle forze per il potere operaio.     

Lo studio del periodo 1949-1968 conferma che la classe operaia e i suoi alleati, semi-proletari, contadini poveri e lavoratori autonomi urbani, deve lottare fino a che il problema del potere non sia risolto con il rovesciamento del potere borghese e l'instaurazione del potere operaio.

L’esperienza dalla creazione dell’EDA

Il KKE ha tratto una notevole esperienza dalla fondazione dell’EDA. La collocazione fuori legge del KKE non giustificava questa scelta. Certamente, il nostro Partito doveva utilizzare qualsiasi margine legale esistente  e trovare forme di espressione politica in quelle date circostanze, senza però compromettere la sua autonomia.

La creazione dell’EDA rifletteva due seri problemi esistenti nella linea politica del KKE. L’errata concezione della separazione del programma del Partito in “minimo” e “massimo” fu l'origine dell’errata politica delle alleanze. In secondo luogo, influì l’effetto negativo dei problemi di strategia nella combinazione del lavoro illegale e legale, in modo che l’organizzazione autonoma e la fisionomia del KKE potessero esprimersi in qualsiasi condizione, tanto a livello politico che a livello di movimento.

La partecipazione all’EDA anche di forze socialdemocratiche alimentava ulteriormente l’opportunismo all’interno del KKE.

Da un altro lato, le forze opportuniste nel KKE e nell’EDA tentarono col tempo  di trasformarla in strumento per la liquidazione del KKE, esattamente come fun tentato molti anni più tardi, nel 1989-1991, quando  forze simili tentarono di trasformare la “Coalizione della Sinistra” in un unico partito che avrebbe comportato la dispersione in esso del KKE. Si tratta fondamentalmente degli stessi quadri che oggi dirigono SYRIZA.

Da notare che i quadri del KKE che tentarono di scioglierlo nell’EDA, erano gli stessi che sostenevano la tesi che il KKE non avesse recepito integralmente lo spirito delle risoluzioni del 20° Congresso del PCUS. Col tempo, incominciarono a opporsi alla strategia delle fasi, ma lo fecero da una posizione riformista, negando contemporaneamente le leggi generali della rivoluzione socialista.

L’influenza della strategia del Movimento Comunista Internazionale sulla formazione della politica del KKE

Nel Saggio di Storia si ritiene che i suddetti problemi non riguardassero unicamente il KKE, ma anche una serie di partiti comunisti di altri paesi capitalistici.  Va sottolineato che la loro strategia gradualmente si distanziava dalle leggi generali della rivoluzione socialista, limitandosi e subordinando la loro azione alla difesa delle libertà democratico-borghesi e il loro paese nel quadro del sistema imperialista.

Il movimento comunista nei paesi capitalistici si caratterizzò come fattore di sviluppo delle lotte operaie, ma non fu capace svolgere il ruolo di reale avanguardia operaia, né di organizzare la lotta per il potere operaio. L'incapacità di elaborare una strategia rivoluzionaria si era già manifestata durante il periodo della Seconda Guerra Mondiale e continuò anche dopo di essa. Ad esempio, le posizioni fondamentali di quello che successivamente fu chiamato “eurocomunismo” erano già contenute nel programma del PC di Gran Bretagna dal 1950-1951. Una serie di partiti comunisti, proprio quelli dei paesi che erano importanti potenze imperialiste, concepirono la linea politica dei fronti antifascisti anche dopo la guerra, associandola alla difesa della indipedenza nazionale dei loro paesi che, come sostenevano, era negata dall’imperialismo americano a causa della subordinazione ad esso  di settori delle borghesie nazionali.

Nonostante il fatto che i partiti comunisti dei paesi capitalisti proclamassero in termini generali la necessità  del socialismo, nella formulazione della loro politica si ponevano obiettivi di governo che non servivano ad una strategia di concentrazione delle forze, tesa ad un'aperta rottura e conflitto con il potere borghese, in condizioni di crisi economica e politica generalizzata nei loro paesi. Forti partiti comunisti in Europa Occidentale giunsero persino a socialdemocratizzarsi nella forma dell’ “eurocomunismo”. Erano incapaci di far fronte alla flessibilità della borghesia che stringeva alleanze per difendere il proprio potere e per ridefinire le proprie alleanze internazionali in tempo utile. Essi fissarono come obiettivo politico la formazione di “governi antimonopolistici democratici” con la concezione o di una via parlamentare apertamente riformista, o di una fase  intermedia del processo rivoluzionario. L’elemento antimperialista, antimonopolista della lotta dei PC, distaccato dalla lotta per il potere operaio, assumeva oggettivamente un carattere utopistico. Anche l’obiettivo della socializzazione dei mezzi di produzione nei settori cosiddetti strategici, non era legato all’obiettivo di rovesciare il potere del capitale. I PC formavano alleanze che rafforzavano la posizione della socialdemocrazia all’interno della classe operaia, con il risultato che il movimento operaio fu coinvolto nelle scelte strategiche della borghesia, perdendo le proprie connotazioni di massa.

L’esperienza storica ha dimostrato l'illusorietà della concezione del passaggio al socialismo attraverso la cosiddetta espansione della democrazia borghese. I notevoli risultati elettorali di alcuni partiti, specialmente in Francia e in Italia, non hanno giustificato le speranze di una transizione parlamentare al socialismo. Al contrario, hanno alimentato deviazioni opportuniste che alla fine hanno danneggiato il movimento comunista. Col tempo, molti PC hanno seguito il percorso della collaborazione di classe anche all’interno del movimento sindacale.

Riteniamo che la partecipazione di forze comuniste ai governi Prodi, D’Alema, Jospin ed altri, sia stata il naturale prodotto del precedente percorso dei partiti comunisti.  Questi governi si dimostrarono governi di gestione del capitalismo. I governi Jospin e D’Alema parteciparono al bombardamento della Jugoslavia, accettando i pretesti imperialisti circa la presunta pulizia etnica in quel paese. Tutti questi governi hanno contribuito a far passare misure antioperaie che hanno spezzato  il movimento operaio e sindacale nei loro paesi.

Si può ragionevolmente affermare che l’attuale situazione negativa del movimento operaio nei paesi dell’UE, in una fase di seria intensificazione delle contraddizioni  interimperialiste e di crisi economica del capitalismo, sia il  risultato di questo corso.

La partecipazione di PC a governi borghesi ha confermato la correttezza del rifiuto del KKE alle elezioni del 6 Maggio e del 17 Giugno 2012, di partecipare al cosiddetto  “governo della Sinistra”. Il contrario avrebbe significato l'abbandono, da parte del KKE, della sua strategia per il socialismo e l'adesione ad una diversa concezione strategica di gestione del sistema e della crisi economica capitalistica a danno della classe operaia e dei ceti popolari poveri. La tattica deve servire la strategia e non danneggiarla.

Anche la distinzione tra socialdemocrazia di destra e di sinistra fu un grave errore, così come la distinzione base e vertici della socialdemocrazia, il cui evidente ruolo controrivoluzionario fu chiarissimo sia nella Prima Guerra Mondiale, sia nell'atteggiamento verso le rivoluzioni proletarie in Germania ed altrove. Gli sviluppi storici hanno dimostrato che la gran parte della base popolare degli altri partiti si conquista con l’intensificazione della lotta di classe e con un forte fronte ideologico contro la politica borghese e l’opportunismo.

Questione cruciale è lo studio corretto dello sviluppo capitalistico in ogni paese

Il KKE non aderì mai al cosiddetto “eurocomunismo”, trovando la forza di restarne separato e lottando per molti anni contro di esso in difesa dei principi generali del marxismo-leninismo. Inoltre il KKE prese posizione contro il collegamento della Grecia alla Comunità Economica Europea (CEE), posizione mantenuta anche sull’accesso della Grecia alla CEE e poi all’UE.Si noti che anche l’EDA espresse una posizione contraria al collegamento della Grecia con la CEE, definita come una “fossa dei leoni”. L’UE è un’alleanza del capitale, non può essere riformata a favore del popolo, né essere trafsormata in una “Europa dei popoli”. Ciò è confermato anche dagli attuali sviluppi nell’UE.

Il KKE insiste su questa linea, affermando  che non può esistere una politica filopopolare all’interno dell’UE. Ciò che serve è uscirne, lottando contemporaneamente per l'abbattimento del potere dei monopoli in ogni paese, per la loro socializzazione e per la cancellazione unilaterale del debito da parte del potere operaio-popolare. Specialmente in condizioni di crisi economica capitalista, esistono due vie: o la crisi verrà pagata dalla classe operaia e dagli strati popolari, oppure dai grandi gruppi d'affari. La seconda via è direttamente connessa alla costruzione di una grande alleanza politico-sociale che rovesci il potere borghese. Una terza via non esiste.  La crisi nell'eurozona non è una crisi da debito, né il prodotto della cosiddetta gestione neoliberista. E’ una crisi di sovraccumulazione di capitali. I partiti conservatori, socialdemocratici e di sinistra operano per un’uscita dalla crisi a favore del capitale.

Negli anni '50 e '60, le analisi del KKE sul capitalismo greco non hanno tenuto il passo con il percorso dell’economia capitalista, sviluppatasi significativamente.

L’8° Congresso del KKE definì la Grecia come “appendice agricola dei grandi paesi imperialisti dell’Occidente (…) un paese capitalista sottosviluppato, fondamentalmente agricolo, con un relativo sviluppo industriale, con alcuni residui semi-feudali (…) La futura rivoluzione in Grecia sarà quindi antimperialista-democratica”[5].

In questo senso, il Partito adottò la tattica della collaborazione con le “forze democratiche” per creare le precondizioni per il raggiungimento di quell'obiettivo.

Lo stesso sviluppo capitalistico in Grecia confutò la concezione sia che le potenze straniere agissero da freno, sia che la  borghesia non fosse interessata allo sviluppo dei rapporti di produzione. Lo sviluppo capitalistico in Grecia fu sostenuto  principalmente dall’accumulazione di capitale interna e dalla costruzione di infrastrutture statali in supporto all’industria, frutto del nuovo orientamento dello stato. L’afflusso di capitali stranieri non aumentò particolarmente, eccetto che alla fine degli anni ’40 e all'inizio degli anni’50 (Piano Marshall, Dottrina Truman), ma la maggior parte di questi fondi venne indirizzata al potenziamento della repressione contro l’Esercito Democratico di Grecia e, più in generale, alla salvaguardia dello stato borghese.

Uno dei risultati dello sviluppo capitalistico fu il relativo miglioramento del reddito e del livello di vita dei lavoratori, al quale contribuirono innegabilmente le lotte popolari. Certamente, era la fase dello sviluppo capitalista in cui il capitale era in grado di stanziare fondi per  assimilare il popolo, una realtà che sfociò nella creazione del cosiddetto “welfare state”, diversamente dall’attuale fase, in cui tali margini non esistono e non solo a causa della crisi economica capitalistica.

Contemporaneamente, in quegli anni  crebbe la fascia dei lavoratori del settore pubblico. Significative quote della popolazione agricola si spostarono verso i centri urbani, mentre altre emigrarono verso i paesi capitalisti più sviluppati. Si formarono  nuovi ceti piccolo-borghesi. Proprio su questa base materiale nel Partito si rafforzarono il riformismo e l’opportunismo.

Particolarmente in condizioni di crisi economica capitalistica come quella attuale, gli strati piccolo-borghesi che si sono ribellati per mantenere la loro posizione economica, opponendosi alla politica governativa, chiedono utopisticamente il ritorno al passato che consentiva loro una migliore sopravvivenza. Politicamente, sostengono un capitalismo monopolistico “controllato” da un governo che esprima maggiormente gli interessi dei piccoli proprietari di mezzi di produzione e di una limitata accumulazione rispetto agli interessi dei grandi proprietari, dei monopoli. In questo modo diventano portatori di una ideologia e di una prassi politica che cerca, utopisticamente,  o l'attenuazione della concorrenza, o  il ritorno a una situazione pre-monopolistica. Questi strati, avvicinandosi alla classe operaia e/o integratisi con essa dopo la propria rovina, diventano portatori di pressione sul movimento operaio affinché si orienti su  posizioni di “umanizzazione” del capitalismo.

Conclusioni generali utili oggi

La pressione opportunista non è un fenomeno connesso aolo all'atteggiamento specifico di individui che non reggono l'intensità della lotta di classe. E’ una corrente ideologico-politica, un prodotto dell’epoca storica del capitalismo contemporaneo, dell’imperialismo. La sua base materiale risiede nella potenziale corruttibilità di spezzoni di classe operaia da parte dei monopoli, attraverso meccanismi molteplici di integrazione e corruzione e tramite l’allargamento della classe operaia con elementi di origine piccolo-borghese. Perciò, la lotta contro l’opportunismo, come  formulata da Lenin, è parte integrante della lotta contro il capitalismo nella fase imperialista del suo sviluppo, poiché l'opportunismo, indipendentemente  dalle intenzioni dichiarate, si pone come ostacolo all’emancipazione politica della classe operaia dalle politiche borghesi ed è in contrasto con l’autonmia ideologico-politica del movimento operaio.

La lotta contro l’opportunismo non dipende né dal fatto se esso sia o meno costituito in una specifica organizzazione politica, né  dalla sua influenza parlamentare o sindacale. Non è un obbligo secondario o parziale, distinto dal compito di lottare contro la politica borghese in tutte le sue varianti e versioni. Specialmente in tempi come quelli attuali, di crescente malcontento e proteste popolari, vi è il pericolo che il popolo resti intrappolato in uno degli scenari alternativi di gestione borghese. Lo sforzo per la radicalizzazione e per la liberazione della classe operaia e delle masse popolari dalla politica borghese presuppone la lotta aperta contro l’opportunismo.

L’esperienza storica ha certamente dimostrato che la nascita e la crescita dell’opportunismo all’interno dei PC non avviene in una notte. Fattori di rafforzamento dell’opportunismo in prospettiva sono le debolezze teoriche, gli errori nelle elaborazioni strategiche non individuati e non corretti, ma anche le posizioni contradditorie di parte dei gruppi dirigenti, che provatamente non erano mossi da intenzioni di adattamento, di compromesso e di sottomissione alla  borghesia, ma al contrario avevano addirittura diretto la lotta armata contro il nemico di classe.

La storia ha dimostrato che il ritardo nella battaglia contro l’opportunismo conduce alla degenerazione del partito, alla sua mutazione socialdemocratica, alla perdita di continuità  storica. Questo successe in diversi PC dell’Europa Occidentale, per es. in Francia, in Italia, ecc.. Per contro, la battaglia contro l’opportunismo assicurò la continuità della natura comunista del Partito. Ad esempio, il conflitto che si manifestò al 12° Plenum del CC del KKE nel 1968, portò all'uscita del gruppo revisionista che perseguiva sostanzialmente la trasformazione del Partito in una formazione “eurocomunista”.  Assicurò la ricostruzione organizzativa del Partito e portò alla costituzione della KNE (Gioventù Comunista di Grecia, NdT). Tuttavia non riuscì ad affrontare, o ad  inserire nelle questioni da affrontare, il problema di fondo che era la questione della strategia del partito, fatto che incise sul  successivo sviluppo dell’opportunismo nelle sue fila.

D’altra parte, la crisi del Partito negli anni 1990-1991, verificatasi in condizioni di pesante sconfitta del movimento comunista  e il percorso della sua ricostruzione dopo la scissione, permise al Partito di esaminare la propria linea più autocriticamente, di studiare questioni quali, per es., la collocazione del capitalismo greco nel sistema imperialista internazionale e il suo rapporto con il carattere della rivoluzione e del potere, le cause che portarono alle  controrivoluzioni del 1989-1991 in URSS e negli altri paesi socialisti d'Europa e di trarre  conclusioni più approfondite, espresse nella sua concezione programmatica.


[1] Essay on the History of the KKE, 1949-1968, Volume 2, second ed. p 21-22. Sychroni Epohi, Athens 2011.

[2] Essay on the History of the KKE,, 1949-1968, Volume 2, second ed. p 316-317. Sychroni Epohi, Athens 2011.

[3] Essay on the History of the KKE,, 1949-1968, Volume 2, second ed. p 318. Sychroni Epohi. Athens, 2011.

[4] Essay on the History of the KKE,, 1949-1968, Volume 2, second ed. p 470. Sychroni Epohi, Athens, 2011.

[5] Essay on the History of the KKE,, 1949-1968, Volume 2. p 446. second ed. Sychroni Epohi. Athens 2011.